A un anno di distanza dall’apertura, parliamo con Ettore Brancè, classe 1996, musicista compositore, della sua etichetta Daily Delivered Drones, un’esperienza che ha alla base una filosofia piuttosto particolare riguardo la fruizione musicale.
Ciao e benvenuto su Grind on the Road. Andiamo subito al sodo: come definiresti la tua etichetta in poche parole?
Ciao a voi e grazie per lo spazio! Allora, Daily Delivery Drones è un’etichetta open source che ha alla base la filosofia della gratuità della fruizione dei prodotti. Io non chiedo soldi a nessuno e non vendo all’effettivo la musica che propongo.
Tutti i vari dischi e i vari EP da me prodotti non hanno un prezzo, si possono scaricare gratuitamente e si possono utilizzare altrettanto gratuitamente, nel caso un musicista avesse bisogno di samples per le sue composizioni.
È letteralmente musica messa a disposizione di tutti.
Interessante l’idea di poter campionare i brani degli altri artisti e poterli inserire nelle proprie creazioni inedite.
Ma sai, il genere musicale che io propongo – sia come etichetta che come autore – si basa molto sull’ispirazione data da altri progetti musicali, nazionali o esteri che siano. Non potendo utilizzare la loro musica sono costretto quindi a trarne ispirazione. Questa necessità si riallaccia anche alla scelta dell’open source come filosofia di distribuzione.
A proposito delle scelte attuate, facciamo un salto indietro: qual è stato il processo effettivo che ti ha portato a decidere di aprire un canale di distribuzione musicale senza scopo di lucro?
La DDD è iniziata il venticinque aprile dell’anno scorso, giorno in cui mi sono detto “Io oggi apro un’etichetta”! Avevo già le idee chiare perché era un progetto che programmavo da un po’, ma la quarantena e il lockdown generale mi hanno spinto a impiegare la maggior parte del tempo in questa cosa.
L’etichetta è nata perché non c’era più possibilità di aggregazione fisica, data l’impossibilità dello svolgimento dei concerti. Tutto l’ambiente musicale, tutta la scena (anche underground) si era fermata, l’unica cosa che rimaneva all’effettivo erano le pubblicazioni. Ovviamente, com’è giusto che sia, la maggior parte delle pubblicazioni ha dei diritti da rispettare. Il processo mentale è sorto da una domanda: “Come posso fare ad annientare completamente questa idea di diritto e attribuzione e rendere la pubblicazione musicale di dominio pubblico?”. Ho pensato che l’unico modo possibile fosse appunto quella di aprire un’etichetta open source e, visto l’interesse e la partecipazione espressa da molti artisti, ha funzionato.
La DDD offre la distribuzione della musica tramite la piattaforma Bandcamp, c’è una motivazione in particolare per cui la scelta è ricaduta proprio su questo sito?
Credo che ogni piattaforma di streaming musicale abbia un determinato pubblico di riferimento, e considero Bandcamp la proposta migliore per chi ascolta generi familiari a quelli proposti dalla DDD, in quanto gli sperimentalismi e i generi di nicchia trovano lì un interesse maggiore rispetto a quello delle altre piattaforme.
Il genere da te proposto è perlopiù musica sperimentale, come dicevamo. A parte l’affinità con la tua produzione artistica, c’è un motivo per cui ha voluto concentrare la distribuzione proprio su questo genere?
Mah sai, è una questione di linguaggio. Io credo che la maggior parte degli artisti, anche quelli “pop” non parta con l’obiettivo finale di guadagnare soldi, e se ti poni soltanto questo come obiettivo non vai molto avanti nella musica. Esattamente con questo concetto va avanti anche la musica sperimentale. Quello che cambia però è il mezzo, poiché nella musica sperimentale si utilizza un linguaggio che può essere compreso da chiunque, ma non tutti hanno la voglia di prestare attenzione.
Se mettessimo a confronto la musica drone e quella pop sarebbe come mettere a confronto un discorso retto da un bradipo addormentato e uno retto da Elon Musk! Il secondo si fa ascoltare da tutti, mentre il bradipo, secondo una buona fetta di pubblico, dopo un po’ ti annoia.
Si può dire quindi che sei più interessato al messaggio proposto piuttosto che al mezzo con cui viene “spiegato”
Preferibilmente, vorrei che fossero solo “bradipi” a parlare, ma tutto ciò che è un tentativo mi interessa, a patto che si esprima secondo un determinato standard. Quello che cerco, in modo o nell’altro, è una condivisione di un pensiero, di un messaggio o di un’esperienza, indipendentemente dal mezzo con cui viene espresso.
A proposito di esperienze, abbiamo detto che l’idea della label è nata durante il primo lockdown. Prima di questa pandemia ti era mai capitato di programmare l’apertura di un’etichetta?
In realtà è stata più una necessità. Prima della DDD ero principalmente focalizzato sulla mia musica, ero estremamente proiettato sul finalizzare il discorso che portavo avanti, e nonostante non fosse il mio lavoro io lo percepivo come tale. Arrivata la pandemia mi sono però reso conto di non voler fare della mia musica un lavoro inteso nel vero senso del termine, perché se fosse diventato tale avrei dovuto portare a termine periodicamente un obiettivo e ciò sarebbe stato per me frustrante perché sarebbe stata una forzatura sul processo creativo.
Quando mi sono appunto reso conto che la mia musica era per me principalmente una passione e un motivo di gioia, ho deciso di spostare l’ambito più formale, quello più strettamente legato alla gestione, sull’etichetta. Avevo così due vie completamente separate, la mia musica, ovvero il mio mezzo espressivo e l’etichetta. Potevo quindi sfogare l’idea della gestione su un obiettivo particolare.
L’idea di gestire un’etichetta è nata quindi da una necessità ed è stata sicuramente influenzata dalla conoscenza di persone che avevano intrapreso un percorso di distribuzione simile al mio molto tempo prima, come Naresh Ruotolo [DioDrone] o Marco Valenti [Totenschwan Records], persone che svolgono il loro lavoro nella vita di tutti i giorni ma che hanno una passione così tanto forte da portare avanti un qualcosa del genere per pura soddisfazione.
È una forma di egoismo? Forse, ma è giustissima. Ed è fantastico, perché senza di loro e la loro musica probabilmente non sarei nemmeno arrivato a concepire in un determinato modo la mia musica e, probabilmente, non sarei qua a parlare con te.
Dunque la nascita dell’etichetta è strettamente legata al contesto in cui è stata concepita. Ciò ha mediato il tuo punto di vista su queste limitazioni di aggregazione fisica?
La quarantena in sé non è stata un grandissimo problema: ero in casa e non dovevo vedere nessuno. I problemi sono iniziati con gli attacchi d’ansia che mi colpivano quando poi dovevo uscire. In un modo o nell’altro l’etichetta mi ha portato a relazionarmi con altre persone, avendo a che fare con gente interessata ai miei progetti. Tutto ciò si è tradotto con la necessità di parlare, di confrontarmi con altri individui, ed è stato tanto importante quanto utile.
Una terapia, insomma, che ti ha permesso di superare l’ansia sociale.
Certamente. Ma anche al di là dell’etichetta, credo che le esperienze italiane e straniere relative a questo specifico circuito musicale pongano come propria ragione d’essere la comunicazione. Questa comunicazione si basa su un pubblico relativamente piccolo, quasi minuscolo se guardiamo all’idea del grande pubblico, ed è questa secondo me la caratteristica che facilita lo scambio di idee.
Un concerto non è soltanto la performance live ma c’è anche il prima e il dopo, sopratutto. Siamo talmente tanto pochi che un silenzio può diventare pesante e ciò ti porta la necessità di comunicare. Su questa esigenza si basa il mio progetto e tramite esso ho imparato nuovamente quanto siano importanti le relazioni interpersonali.
Abbiamo detto che la DDD è figlia del suo tempo, è nata da una dinamica sociale compromessa e proprio su quella ha posto la sua ragione d’essere, ma un giorno però la pandemia finirà. Come si collocherà questo progetto con l’inizio di una nuova fase che prevederà nuovamente l’aggregazione fisica?
Ci sono infiniti modi per i quali si potrebbe trasportare una situazione del genere in un contesto “fisico”. Per quanto io non voglia snaturare la forma dell’etichetta prettamente on-line, un’altra idea che volevo mettere in atto è quella di organizzare eventi dedicati alle performance live. D’altronde la necessità alla base è sempre quella di poter comunicare le proprie idee. Certo, cambia la modalità che in questo caso diventa più diretta, ma comunque oltre a quella per me rimane importante la distribuzione fisica, perché la considero una parte fondamentale anche dell’evento live.
Parlando di distribuzione fisica, la DDD festeggerà un anno di attività proprio con la release in CD di una compilation che contiene i lavori di diversi artisti nazionali, in uscita il 25 aprile.
Qual è la necessità che ti ha spinto a scegliere proprio questo formato? In un’epoca in cui c’è una riscoperta dell’analogico, quindi del suono del nastro o del vinile, il CD potrebbe per alcuni risultare “freddo”
Perché, esattamente come la DDD, è un formato digitale! Poi io sono nato negli anni Novanta, sono cresciuto con questo formato. Ricordo ancora il mio primo lettore CD, celestino. Orribile. Ma nonostante non toccassi neanche con i piedi per terra, durante i viaggi in macchina avevo sempre sotto il braccio il riproduttore. Quindi la trasposizione logica dell’esperienza digitale in formato fisico trovava in questo oggetto a me molto familiare la giusta continuità.
Poi pensa che io sono diplomato in grafica multimediale, e al liceo ci facevano lavorare sulle grafiche dei CD. Praticamente è un formato che mi rincorre costantemente.
Alla base di tutto credo comunque che, guardando a un futuro in cui si sarà tornati alla normalità, il disco sia un mezzo per aiutare ulteriormente gli artisti. Nell’ambito della musica indipendente l’acquisto di un prodotto non è mai soltanto legato al mero scambio commerciale, perché quando si compra qualcosa da un artista del mondo underground lo si sta supportando in maniera più ampia, quindi emotiva oltre che monetaria. E ciò fornisce nuove vie di comunicazione, allargando la rete di conoscenze si può diffondere meglio il proprio pensiero. Favorire anche il fraintendimento tra le persone. Perché senza il fraintendimento non si creano dubbi, non ci si pongono domande, e la natura dell’essere umano ha proprio alla base il chiedersi il perché delle cose.
Speriamo allora di poter continuare a fraintenderci l’uno con l’altro dal vivo, al più presto!
Non vedo l’ora di fraintendere. Grazie mille per questa intervista e un “ciao” a debita distanza ai lettori.
Stay Open!
Supporta Daily Delivered Drones su Bandcamp e Facebook