Abbiamo intervistato Francesca Bonci, che ci toglierà qualche curiosità sull’affascinante mondo dei visuals.
Come nasce un visual per una band?
Per ciò che mi riguarda un visual nasce in primis da una interconnessione tra la mia sensibilità e quella dell’artista o band con i quali collaboro, partendo dal fatto che se il prodotto che mi viene proposto non mi colpisce o non mi piace non accetto di lavorarci, perché non riuscirei a tirarci fuori nulla. Ho bisogno di ascoltare e comprendere fino in fondo cosa c’è dietro alla musica, qual è la filosofia della band, il concept dietro ai brani e una volta compreso questo comincio a “vedere” in modo abbastanza naturale ed istintivo le immagini che la musica e il suono mi trasmettono, i colori. In poche parole trasformo le sensazioni che la musica mi trasmette in immagini, in visioni quasi sempre astratte e creo la base sulla quale poi applico clip con altre immagini che possono essere disegni, piccole animazioni, footage girati o fotografie, che seguono il ritmo della musica e danno colore al suono. Lavoro a strati che a volte riempio di materia e a volte scalfisco come se stessi incidendo per tirarne fuori gli aspetti più intrinsechi. Cerco di metabolizzare il concept e creare un prodotto che sia indipendente in quanto opera artistica, ma allo stesso tempo complementare, ovviamente.
Ci sono generi musicali che più si sposano ai tuoi visual?
Beh tutti i sottogeneri che vengono abbracciati dalla grande madre post-rock o dall’elettronica sono sicuramente più predisposti e più consueti ad essere accompagnati da uno scenario visuale, ma io ho veramente lavorato con ogni tipo di musica, anche perché concepisco i visual da un lato come uno strumento o un arrangiamento in più per la performance live, dall’altro una specie di scenografia che si adatta al tipo di suono/musica al quale viene applicata, ma comunque una parte integrante dello show, un’idea più vicina alla videoarte. Per esempio tra qualche giorno sarò a Monaco come visual artist resident in un interessantissimo festival sci-fi di arte e musica che si svolge ogni anno. L’ambientazione è futuristica e anche tutti gli eventi che ci saranno all’interno del festival, le band e il mio lavoro artistico ovviamente. Mi esibirò live insieme a due progetti musicali – uno electro funky, l’altro più pop – e per l’occasione ho creato dei visual sci-fi e distopici.
L’evoluzione tecnologica ha un peso in quello che crei o è irrilevante?
Assolutamente sì. Innanzitutto ho cominciato a far conoscere il mio lavoro artistico all’estero in modo più massiccio grazie allo sviluppo sempre maggiore di internet e dei social. E a mantenerlo in tutti questi anni. Avviene una sorta di passaparola ancora più veloce ed efficace e oggi hai sicuramente la possibilità di arrivare in qualunque parte del mondo e avere contatto con persone che prima potevi solo sognarti in un secondo, ma il web è anche un’arma a doppio taglio: c’è tanta sovraesposizione e surplus di contenuti e puoi finire nel calderone di chi magari non lo fa professionalmente, ma solo in maniera amatoriale, se non capisci come utilizzare tutti i mezzi e i canali in modo intelligente e sensato.
Ci sono band come i Dumbsaint che hanno fatto un vero e proprio concept visuale del loro ultimo disco. Che sbocchi possono esserci da un punto di vista artistico nell’utilizzo di visuali nei live?
I Dumbsaint hanno realizzato un progetto artistico incredibile! Una cosa, quella di visualizzare un album intero, che io sto sognando di fare da un sacco di tempo. Mi è capitato di trovare delle band che volessero farlo, ma poi non sono mai riuscita a concretizzare. Forse può sembrare che voglia tirare l’acqua al mio mulino, ma credo fermamente che un visual concepito in modo professionale per un live possa dare un valore aggiunto importante allo show. Cosi come può anche rovinarlo se concepito male. Mi è capitato spesso di vedere dei concerti dove alle spalle della band passavano immagini e video presi da internet senza un senso. Ho pensato che questo stesse distraendo in modo molto negativo tutto il mood dello show. E comunque stiamo vivendo in un epoca a forte impatto visivo dove credo che l’uso delle immagini possa fare la differenza tra un semplice concerto di musica e una performance artistica a 360 gradi, in una maniera vicina alla videoarte come dicevo prima, che possa coinvolgere in modo totale e trasmettere sensazioni più forti al pubblico che ne fruisce. Concepito in questo modo si dà la stessa importanza alle due forme d’arte che si fondono, invece di dare al video il ruolo marginale di accompagnamento. È quindi una scelta artistica ben precisa quella di usare i visual nei live.
Che tipo di lavoro ti ha colpito di più da un punto di vista visivo?
Lo scorso settembre ero in Norvegia al Vivid Festival, un festival post-rock piccolo, ma molto caldo e ben organizzato. Mi sono esibita con gli Show Me A Dinosaur e c’erano anche gli Years of No Light. In quella occasione, i visual durante il loro live sono stati curati da una giovane artista norvegese che si chiama Ingrid. Beh lo spettacolo aveva un impatto incredibile. Mi ha colpito molto. Loro a livello visivo sono abbastanza devastanti.
Ci sono artisti che fanno visuals a cui ti ispiri?
Non mi ispiro a nessuno in particolare, ma mi piacciono tante cose, anche non necessariamente visual, che sicuramente in modo inconscio vanno a formare il mio background che poi qualcuno rivede nelle cose che faccio. Adoro la videoarte di Fluxus, un movimento artistico avanguardistico degli anni 60-70 fatto di compositori e artisti visivi, che mescolava tante discipline artistiche, rispettandone le specifiche, attraverso l’uso di mezzi tecnologici. Un’evoluzione naturale dell’happening di John Cage. Le performance live erano il risultato di questa unione, uno spettacolo molto simile alla performance live musicale con visual. Mi sento molto vicina a quel concetto artistico e sicuramente se fossi stata presente in quell’epoca ne avrei fatto parte! Attualmente mi piace molto Rob Sheridan, l’artista visivo dei Nine Inch Nails, una bomba.
Come viene a crearsi il rapporto collaborativo con le band?
In vari modi. All’inizio quando ho cominciato a fare video per band lo facevo gratis, per amici e conoscenti. Qualche anno dopo, con lo sviluppo di internet, stavo molto sul web, ascoltavo musica in continuazione spesso sconosciuta e underground e quando qualcosa mi colpiva mandavo una mail o cercavo di entrare in contatto per poter usare la musica e fare un video che per me serviva anche a divulgare cose che credevo dovessero esser conosciute. Ho cominciato a caricare i video in siti come Vimeo e YouTube e dopo un po’ la situazione si è ribaltata: erano le band a contattarmi, quasi solamente dall’estero. Oggi capita perché una band mi vede live, o perché un’altra band con cui ho lavorato mi consigli o perché qualcuno trova il mio lavoro in rete e ne viene colpito, come appunto succedeva a me prima con la musica. Per esempio l’anno scorso mi ha contattato un musicista americano, Joe Linus, un incrocio tra Brian Ferry e Leonard Cohen, estremamente interessato all’arte e alla cultura e lui stesso musicista e pittore. Mi dice che è tanto tempo che cerca un’artista visuale come me per visualizzare alcuni brani del suo triplice album in un vasto progetto artistico ambizioso che unisse appunto arte, video, musica e pittura. Io ascolto, guardo, valuto, diventiamo amici. Decido che sì, voglio collaborare con lui. E mi trovo a manipolare le riprese di un fotografo e regista importantissimo che si chiama Christopher Felver, uno che ha fotografato William Burroughs, Patti Smith e che ha fatto documentari sulla Beat Generation. Insomma una cosa assolutamente casuale, ma per me un grande onore.
Alcune band hanno come componente del gruppo chi si occupa di visuals, basti pensare a gli australiani Meniscus. Hai mai pensato di entrare a far parte di un gruppo in pianta stabile?
Eeehhh assolutamente! è quello che vorrei che succedesse.
Che musica ascolti?
Tanta, tantissima e diversa. Ma non mi piace chiudere la musica dentro generi predefiniti. Dagli Archive ai Dandy Warhols passando per gli Afghan Whigs e i Mogwai. Ma ho veramente detto i primi nomi che mi sono venuti in mente e anche fin troppo noti. Tra due minuti magari ti dico Buzz Rodeo, Postvorta, con i quali ho collaborato oppure Beyoncé. Mi piace comunque conoscere cose nuove e continuo a seguire tantissime band molto underground.
L’intervista è finita, saluta i nostri lettori come preferisci.
Grazie mille per avermi dedicato questo spazio. Spero di aver attirato la curiosità dei lettori e vi aspetto tutti in qualche evento futuro.