Her è il secondo album dei cagliaritani Gairo: un lavoro maturo, dal taglio internazionale, un disco di post-metal assolutamente da non perdere per gli amanti di queste sonorità. Abbiamo fatto due chiacchiere con la band per cercare di approfondire al meglio la storia del gruppo e il background alla base di questo disco, la cui recensione è presente su queste pagine. Buona lettura!
Ciao Ragazzi, e benvenuti su Grind On The Road! Siamo estremamente felici di poter fare quattro chiacchiere con voi, Her è un disco che ci ha sorpreso e stregato, un vero fulmine a ciel sereno! Prima di addentrarci tra i polverosi meandri di questo lavoro, parlateci di voi: chi sono i Gairo, e quando si sono formati?
Marco: Ciao anche a voi e a tutti i lettori di Grind On The Road, grazie per esservi interessati a questo progetto e al nostro disco Her.
Ho fondato i Gairo nel 2014, inizialmente tutto è nato come reazione ad un periodo molto intenso, musicalmente parlando, che si è concluso con lo scioglimento dei Curse This Ocean dove suonavo la batteria. Sentivo la necessità di buttarmi su qualcosa di nuovo: la chitarra. Ho sempre desiderato comporre roba mia, lavorare ad un disco partendo da un prospettiva differente, e i Gairo sono nati proprio grazie a questa esigenza. Dopo aver registrato delle pre-produzioni convincenti, mi sono reso conto che i pezzi erano buoni e che potevo ambire a qualcosa che mi stimolasse di più rispetto ad un solo project. Volevo formare una vera e propria band e tutt’ora sono contento di aver preso questa decisione, perché mi ha portato a confrontarmi con altri musicisti, a crescere e conoscere nuove persone che stimo e rispetto tutt’ora per quello che mi hanno dato dentro e fuori dai Gairo. La band non sarebbe mai cresciuta senza il loro contributo, compresi anche i membri che ora non ne fanno più parte, ma che hanno comunque lasciato un segno.
In Her io (Marco Porcu, n.d.r.) suono la chitarra, Luca Cabboi il basso, Roberto Sechi la batteria e Donato Cherchi è il cantante. Ora i Gairo si sono arricchiti di altri due componenti: Davide Ragazzo alla chitarra (già guest in “Apogee”) e Aurora Atzeni, sempre alla chitarra. Per completare il tutto, cito anche Marco “Mudra” Vincis, ex componente della band, che ha suonato il banjo in “Summer of ‘94”.
Dalle ricerche che abbiamo condotto prima di scrivere la recensione abbiamo scoperto la storia del paese Gairo, dal quale la vostra band prende il nome. Sappiamo che il toponimo deriva probabilmente dal greco e può essere tradotto come “terra che scorre”. Anche alla luce delle vicende storiche che hanno interessato il paese ci è sembrato quanto mai appropriato! Ma perché lo avete scelto, e quali ritenete siano le correlazioni tra voi e questo nucleo abitativo ormai abbandonato?
Marco: Il nome è nato prima rispetto ai brani, anzi, si può dire che sia stato d’aiuto nel trovare il sound giusto per il primo disco, fortemente influenzato dalle vicende catastrofiche che hanno segnato la storia del paese di Gairo e non solo. Esatto, “Terra che Scorre” ha un fascino macabro se si pensa ad un paese che è stato messo in ginocchio dalla furia della natura. Ho visto nel nome Gairo un’occasione per riflettere su molteplici temi, non per forza legati al paese diroccato. Ad esempio la natura che si ribella all’uomo, l’abbandono in senso figurato e filosofico, gli errori degli esseri umani, il rapporto che ha l’essere umano con il pianeta che lo ospita, con se stesso e con gli altri esseri viventi.
Passiamo alla copertina: ancestrale, arcana, mistica: potete parlarcene? In che modo si lega alla vostra musica?
Luca: L’idea della copertina è nata pensando al concept del disco stesso, volevamo un’immagine semplice e diretta ma allo stesso tempo forte e evocativa, una figura femminile primordiale che non richiama però a qualcosa di culturalmente riconoscibile nell’immediato. Siamo rimasti molto colpiti dai lavori di una giovane e talentuosa fotografa sarda che si chiama Veronica Frau aka Kismet Hubble, e dal suo immaginario e dopo una chiacchierata è partita subito la collaborazione, grazie anche alla modella Blood Valkirye che ha impersonato esattamente l’idea che avevamo per la figura femminile di Her.
Scendendo nel dettaglio di Her, si tratta di un concept (magari legato anche alla copertina) o le canzoni fluiscono e si avvicendano libere, senza vincoli concettuali che le legano?
Roberto: Her ha sicuramente un concept, o meglio, più concept. Her è il risultato di vari cambiamenti nella nostra prospettiva sulla vita, sulle emozioni e sulle relazioni. La parola chiave di questo progetto è “percezione”. Le percezioni spesso ci guidano tra illusioni e visioni idealistiche, a seconda dell’umore che stai vivendo in quel particolare momento. Sulla base di questo concetto, abbiamo deciso di dividere l’album in due parti, metaforicamente parlando.
Le prime tre canzoni sono ispirate al ritrovamento del fossile KNM-ER 1808, nel sito archeologico di Koobi Fora in Kenya. Questo fossile appartiene a una femmina adulta che a causa di una malattia non è stata in grado di muoversi negli ultimi mesi della sua vita. Alcuni studi teorizzano che qualcuno sia preso cura di lei nei suoi ultimi mesi di vita, probabilmente la prima prova di amore e dedizione nella storia umana.
Le ultime tre canzoni sono focalizzate invece sul sé interiore. Mentre nella prima parte “parliamo” del prendersi cura di qualcun altro, la seconda parte sottolinea come a volte sia difficile prendersi cura di noi stessi, questo a causa di una visione troppo pessimistica o di poca autostima. Guardiamo gli altri con positività, e noi stessi con negatività. Possiamo parlare insomma di un classico dualismo.
Scherzando ogni tanto diciamo che non è detto che qualcuno avesse tenuto in vita 1808 per affetto, ma magari per torturarla. Ma noi abbiamo preferito vederci una fantomatica prima dimostrazione di affetto. Forse dovremmo farlo più spesso anche con noi stessi e le situazioni che viviamo.
Alcuni titoli sono estremamente evocativi, rimandano a mondi lontani, tempi sospesi, atmosfere al limite dell’apocalittico. Vi va di parlarcene e di spiegarci, anche sinteticamente, il significato di ognuno di essi?
Roberto: Come già accennato prima, i primi 3 brani rimandano al fossile KNM-ER 1808. “Her”, “Koobi Fora” e “1808” sono estremamente collegati tra loro. “Her” si riferisce a “lei”, letteralmente, “Koobi Fora” è il sito archeologico dove è stata ritrovata, e “1808” fa parte del nome dato al fossile.
“Apogee” è il pezzo di rottura che apre la seconda parte del disco, e volevamo dare un senso di sconvolgimento, di cambiamento e di esplosione sin dal titolo. La traduzione letterale è apogeo, ma anche apice, inteso come punto di non ritorno. “Like an Elephant in a Sandstorm” rispecchia invece uno stato d’animo, ma anche il ritmo del brano e il suo sviluppo, testo e musica vanno avanti per inerzia, come le parole suggeriscono. In conclusione “Summer of ‘94”, parla proprio dell’estate del ‘94, periodo in cui non c’erano preoccupazioni, ma al quale guardiamo comunque con nostalgia e un pizzico di rimpianto.
Ascoltando il vostro album il primo nome che balza alla mente, e anche quello più scontato, è Neurosis: merito delle vostre atmosfere dimesse, apocalittiche, polverose, rabbiose ma anche struggenti. Ma abbiamo identificato anche suggestioni da altre band come Isis, Cult Of Luna, Klimt 1918, Wayfarer e Alcest/la scena blackgaze. Non solo puro e semplice post-metal quindi ma un coacervo di sensazioni, riferimenti e sonorità provenienti da più stili, che ci ha intrigato molto. Quali sono le vostre band di riferimento, i vostri “numi tutelari”?
Luca: Ah sono decisamente tantissime, ti dico la verità! Personalmente ho gusti molto eterogenei e trasversali, però non ti nego che alcune tra le band che hai citato fanno parte delle nostre influenze personali e del nostro gusto, io ad esempio adoro anche la musica sperimentale anni 70 e non disdegno cantautori come Robert Wyatt ma anche la roba della scena americana indipendente degli anni 80 come Minuteman e Husker Du e ovviamente tutte le band della Dischord… Ah, ovviamente anche Neil Young!
Marco: Sono molteplici le influenze musicali che ci portiamo dietro, diverse per ognuno di noi e diverse anche in base al periodo. Sicuramente generi musicali come metal, shoegaze, elettronica, grunge, rock e colonne sonore ci mettono un po’ tutti d’accordo. Più nello specifico Cult of Luna assieme a Neurosis e Amenra rientrano tra gli ascolti che più hanno influenzato la nascita dei Gairo. Man mano che passavano gli anni la band è mutata, e di conseguenza gli ascolti, ma anche i film, libri e le vicende che ci ispirano sono aumentate.
Dovendo fare qualche nome, ti dico che sono un ascoltatore seriale degli Alcest sin dai primi dischi, ultimamente invece sono in heavy rotation artisti come Nick Cave, PJ Harvey, CSI, Ulver, e Raketkanon. Ma così come Morricone, Velvet Underground, Einstürzende Neubauten… Ci vorrebbe davvero una sera per elencare tutto, dimenticandone comunque la metà. (ahahah)
Direi che siamo giunti alla fine di questa chiacchierata! Speriamo di vederci presto dal vivo, una dimensione che sicuramente vi si addice e che saprà mettere in risalto l’enorme tasso emotivo della vostra musica… Nel frattempo lasciamo questo ultimo spazio a voi per un saluto o se volete dire qualcosa in particolare ai lettori e ai vostri fan. A presto!
Certamente, cogliamo volentieri l’occasione per ringraziare le nostre famiglie, la Drown Within Records, Le Officine e il collettivo A.C.M.E. (acmeconspiracy su IG) per il supporto. Ringraziamo Fabio Demontis, Giuseppe Aledda e tutte le persone che hanno collaborato nella realizzazione di Her. Infine, ringraziamo voi di Grind On The Road per questa piacevole chiacchierata.
Ps. Stiamo lavorando ad un tour di supporto per l’uscita del disco, perciò speriamo di vederci in giro presto!