I San Leo, duo romagnolo formato da Marco Migani (aka Inserirefloppino) e Marco Tabellini (aka m tabe), lo scorso 13 novembre pubblicano con Bronson Recordings il loro quarto album Mantracore (recensito qui). Nella seguente intervista abbiamo sviscerato le visioni ancestrali del loro lavoro che viaggia tra paesaggi ambient-drone e vibrazioni kraut-rock, restituendo un affascinante profilo artistico di un progetto che ha fatto della musica un rito sacro. Buona lettura!
Ciao ragazzi e benvenuti su Grind on The Road, è un piacere ospitarvi. Iniziamo dalle presentazioni. San Leo è una fortezza sacra e ostile, abilmente incastonata come un piccolo diamante nel paesaggio romagnolo. Perché avete scelto questo nome?
Ciao, il piacere è nostro. Sul nome: autunno 2013, avevamo bisogno di un nome per il nostro primo concerto al Tatanka di Granarola (Gradara). Inserirefloppino ha buttato lì il nome, m tabe l’ha scritto su un post-it con il lettering in stile SLAYER ed è sembrato che tutto funzionasse, anche in relazione alla storia della rocca, il suo paesaggio e tutto quello che rappresenta per noi.
Prima di diventare un duo, avete entrambi fatto esperienza con progetti solisti (ossia Inserirefloppino e m tabe), come vi siete trovati a suonare insieme?
Abbiamo iniziato gradualmente, senza forzare la mano. I primi incontri erano più session estemporanee, non vere e proprie “prove”, e rispetto ai progetti solisti abbiamo sempre usato un linguaggio e un set strumentale diversi, forse più adatti al dialogo.
Avreste voluto altri membri o in due siete nella vostra perfetta dimensione?
Siamo autosufficienti dal giorno 1, viaggiamo comodi con tutta la strumentazione in una utilitaria e non abbiamo mai affrontato un problema che ci facesse dire “Accidenti, se solo fossimo di più!“
Prima di parlare dei vostri lavori vorrei approfondire la visione della musica in relazione all’alchimia, alla quale fate continuamente riferimento. Nel vostro percorso musicale e nel vostro modo di lavorare come si colloca?
La musica è alchimia, è mettere insieme diversi elementi, anche i più disparati, sperimentare e capire come questi reagiscono tra loro, mescolare, distruggere e ricomporre per poi distillare il tutto nella composizione finale. Nel nostro m.o. si tratta poi anche di attingere a tutto un serbatoio di immagini e simboli. L’alchimista è filosofo e mistico, scienziato e ciarlatano al tempo stesso.
L’improvvisazione è centrale nel processo creativo dei vostri album, quanto spazio le date e come si rapporta rispetto a un live o in fase di registrazione?
La struttura dei brani e il nostro suono in generale fanno sì che alcuni momenti diano l’impressione di essere improvvisati mentre magari in realtà sono ben fissati nel nostro interplay, solamente in modo più elastico rispetto a quanto siamo abituati a sentire in gruppi di estrazione rock/metal. Improvvisare dal vivo richiede capacità di reagire a imprevisti, negativi o positivi che siano; abbiamo sempre preferito tenerci questo margine di flessibilità, piuttosto che cercare di prevedere e controllare tutto (“ciò che si è irrigidito non vincerà“). L’improvvisazione in studio penso sia un’esperienza più mirata o comunque canalizzata – rispetto al live si tratta più di scegliere di stretchare una parte verso ulteriori livelli di intensità/espressività, cercando di distillare il giusto grado di messa a fuoco e spontaneità.
Ascoltando il vostro disco la qualità e la quantità sonora presente è davvero impressionante, quali strumenti utilizzate in studio?
Mantracore è stato registrato con strumentazione mista (analogica e digitale). Abbiamo usato un kit di batteria molto semplice, già utilizzato in sala prove durante la fase di composizione. Le parti di chitarra sono state registrate per la maggior parte usando una combinazione di amplificatori da chitarra e basso messi a disposizione dal Blue Audio Studio e una varietà di chitarre (diverse comunque da quelle usate nei concerti). L’unica costante forse è stato il set di pedali per chitarra, utilizzati anche per il live (perlomeno in quel periodo).
C’è qualche strumento in particolare o effetto del quale non potete fare a meno? Durante la performance live come vi adattate, cambia qualcosa?
La strumentazione che utilizziamo per il live ha subito varie mutazioni nel tempo, più che altro per la necessità di essere snelli e pratici. Sin dall’inizio abbiamo cercato di non essere troppo dipendenti dalla strumentazione – più che altro attraversiamo come tutti delle fasi, periodi di amore/odio verso determinati oggetti che ci portano a cambiare, aggiungere o togliere qualcosa (anche se ultimamente la tendenza sembra sia quella di aggiungere! Magari quando torneremo a suonare in giro più spesso le nostre schiene ci suggeriranno di alleggerire di nuovo…)
Mantracore, vostro ultimo album, è stato registrato in tempi di pandemia. Riflette in qualche modo il periodo particolare nel quale è stato creato? Cosa è rappresento in copertina?
In realtà Mantracore è stato registrato fra luglio 2019 e gennaio 2020, dopo un processo compositivo altrettanto lungo e articolato. La copertina è una fotografia di Inserirefloppino e il soggetto è una scultura dell’artista Tina Lupo, intitolata “Nereide”.
La vostra musica è fortemente evocativa, quasi cinematografica, se poteste scegliete il film del quale arrangiarne la colonna sonora, a che registra pensereste?
Qualcosa tra Lucifer Rising di Kenneth Anger e Into the Inferno di Herzog…
Recentemente si è tenuto il Transmissions Waves, in una tipologia un po’ diversa dalla solita del Festival targato Bronson Produzioni. Evento che ha luogo a Ravenna da 13 anni, una vera e propria istituzione per gli appassionati di musica underground. Com’è stato tornare sui palchi attraverso uno schermo? Come l’avete vissuta?
Rispetto a un concerto normale c’è stato molto più tempo e cura nella preparazione, ci siamo trovati molto bene a lavorare con Alberto e Claudio ed è stato positivo tornare ad immergerci nel suono con i volumi e la spazialità del palco del Bronson. Ovviamente il feedback che si innesca con il pubblico resta la vera essenza del live, e quello non è sostituibile in alcun modo.
Il vostro ultimo lavoro è, a tal proposito, uscito per Bronson Recordings; com’è lavorare con un’etichetta italiana così importante?
Siamo pienamente soddisfatti della collaborazione con Bronson e del rapporto di fiducia reciproca instaurato con Chris. Da parte nostra continuiamo a concentrarci sulla musica come abbiamo sempre fatto; il vantaggio è avere persone fidate che ci aiutano con altri aspetti (come ad esempio quello promozionale) con professionalità. Pur rimanendo degli outsiders, è positivo per noi collaborare con persone appassionate e competenti che condividano la nostra visione.
Nonostante il periodo non sia dei migliori, avete progetti per il futuro?
Continuare a suonare, tenendo da parte fattori esterni sui quali non abbiamo controllo. Ci sono tante idee ancora da portare alla luce, in un modo o nell’altro.
Grazie per la vostra disponibilità, abbiamo finito. Questo spazio è per concludere come preferite. A presto!