Il loro ultimo album, Eterno, è sulla piazza da qualche mese ormai (potete leggere qui la nostra recensione) ma abbiamo voluto intervistare ugualmente i Sedna da Cesena. Ne è venuta fuori una piacevolissima chiacchierata in cui, oltre che del nuovo album, abbiamo parlato tanto di live, di post black e ci siamo tolti qualche altra curiosità. Buona lettura.
Ciao ragazzi e benvenuti su Grind on the Road. Io inizierei subito col parlare dei cambiamenti occorsi tra il vostro nuovo Eterno e l’omonimo album, innanzitutto col constatare qualche significativa variazione nella voce. Inoltre a me è parso anche, se si esclude la titletrack, che in questo nuovo lavoro, tra tutte, abbiate valorizzato maggiormente la vostra componente post black. Anche in questo caso, vi va di raccontarci cos’è successo?
Ciao ragazzi, grazie mille per il vostro interesse e le vostre domande. La definizione di “post black” è molto relativa, di conseguenza parto dicendo che personalmente classifico questo genere in tutto ciò che si può accostare al filone Altar of Plagues/Wolves in the Throne Room con relative sfumature e sfaccettature. Purtroppo, in un periodo in cui si corre ad etichettarsi, il valore reale del genere è spesso vacuo… Di conseguenza noi preferiamo considerare la nostra musica come qualcosa di sperimentale, senza accostarci obbligatoriamente a qualcosa. Eterno, quindi, ha una maggiore componente sperimentale (per come possiamo concepire noi la cosa). Ciò è dato dal fatto che abbiamo preferito non darci paletti o muoverci su terreni obbligati, in fase di composizione. Le tracce sono ciò che ci sentivamo di suonare, come è sempre stato e come sarà fintanto che continueremo a suonare. Escludendo “Pillars of Creation II” ci siamo accorti di esserci mossi su lidi meno black metal e più post, questo è vero… Ma perché il nostro istinto ci ha guidati in quella direzione. Ed il risultato ottenuto è ottimo per le nostre orecchie e pieno per le nostre anime.
Soffermiamoci proprio sul post black: un modo di concepire il black che però spacca gli ascoltatori. Da un lato chi ne riconosce l’apporto creativo e l’importanza nel mantenere vivace un genere, dall’altra chi ne fa una questione di moda. Voi come lo intendete? Che evoluzioni pensate possa avere?
Come dicevo in precedenza, l’ondata di gruppi creati con gli stessi standard necessari per rientrare in quello che questo tipo di musica richiede ha portato ad un’esasperazione da parte degli ascoltatori. Nessuno si fida più di tale classificazione in quanto a priori si cataloga un gruppo “post black”, come l’ennesimo clone degli Altar of Plagues della situazione. Molte volte è vero, purtroppo, ma le eccezioni che riescono ad esulare dallo stampo riescono invece a creare spesso cose assai interessanti. Noi cerchiamo di esulare da tutto ciò. Certo, sarei un bugiardo se dicessi di non prendere ispirazione dai precursori dell’ambito, ma la storia non serve a questo? Personalmente, quando suono cerco di creare una successione di note che mi piaccia, che ci piaccia e che ci faccia sentire qualcosa dentro. Nelle viscere. Non mi interessa se è qualcosa di già sentito o che esula dal genere, basta che ci emozioni. Finora ha funzionato.
La “scena” post black sta già scemando, per come la vedo io. Rispetto a qualche anno fa molti gruppi hanno cambiato rotta per rimanere al passo con i tempi. Questo processo, credo sia una sorta di selezione naturale… Chi sopravvive dimostra di aver sempre avuto tale animo al proprio interno.
Il vostro album omonimo era uscito per la Drown Within Records mentre per Eterno avete optato per una cordata internazionale di etichette, tra le quali c’è sempre la DWR. È stata una scelta a priori per garantirvi una maggiore distribuzione o un processo fortuito?
È stato un esperimento, abbiamo voluto testare la collaborazione tra più etichette come hanno fatto tanti altri gruppi underground del nostro calibro. Di base è stato quasi tutto gestito da Cris di Woooaargh! (Ger), con il supporto delle altre label tra cui la Drown Within records (It) principalmente. Il risultato, per quanto in linea con i nostri standard, è stato emozionante. Soprattutto per l’idea che si è mossa dentro di noi, quella che ci ha fatto vedere cosi tante persone, in cosi tanti paesi, interessate nel diffondere la nostra musica.
L’album omonimo si avvaleva di due partecipazioni (Stefania Pedretti e Mike B.) mentre in Eterno non è presente nessun featuring. A cosa è dovuto quest’altro scarto?
La mancanza di featuring è dovuta alla considerazione che abbiamo del disco e che avevamo al tempo della sua pianificazione. Più precisamente, l’idea iniziale era quella di un breve EP di passaggio, atto a ricordare alla gente della nostra presenza e allo stesso tempo a darci nuovi input sulla nostra stessa musica. La situazione ci è poi “sfuggita di mano” a tal punto da trovarci poi con un vero e proprio album. Una volta concretizzata questa idea, però, il tempo era già poco per escogitare o elaborare diversamente quanto già fatto.
Sedna è sia una divinità dei mari, ma anche il nome di un planetoide del nostro sistema solare che segue un’orbita un po’ sui generis. Ecco, se nell’omonimo mi pare che abbiate, sin dall’artwork, voluto metterne in mostra il lato più mitologico, possiamo dire che Eterno è tutto concentrato su quello astronomico?
Vero, il s/t è stato concepito su una base più potente ed epica che allo stesso tempo dava l’ idea di una concretezza massiccia, quasi come se la nostra Dea o i nostri Avi fossero qualcosa di reale e tangibile. Eterno invece, ha un presupposto onirico ed etereo tale, da rendere il tutto un viaggio attraverso una storia intricata nel cosmo. Questo è si un paradosso, infatti i due concept avrebbero dovuto essere logicamente invertiti, ma qui si parla di percezioni all’ interno della musica… Di conseguenza, tutto diventa parecchio relativo.
La titletrack, e traccia di chiusura, è un brano ambient/drone. A me piace pensare che il pianeta Sedna si sia sganciato definitivamente dalla propria orbita alla scoperta dell’universo e che Eterno rappresenti il soundscape di questa deriva liberatoria.
La titletrack è un estro irrazionale, impulsivo e totalmente emotivo nato da una sessione di improvvisazione. Certo, l’idea di creare qualcosa di ambient ed etereo era nella nostra mente, ma ci siamo affidati a ciò che sentivamo direttamente in studio a tal punto da concederci una sola take. Infatti, in sottofondo si sentono le nostre voci, il rumore dei pedali e la nostra “presenza” in studio.
Ci fate un tutorial su come comporre un brano di 15 minuti?
Ahah, non saprei! A noi viene abbastanza naturale ciò, difficilmente riusciamo a concepire un brano che abbia una durata media o corta, complice sicuramente anche il genere. Penso che il tutto però risieda nella capacità di trovare qualcosa che sia semplice ed efficace. Non essendo dei maestri di tecnicismi, ci siamo sempre affidati alla melodia come chiave principale dei nostri brani, ciò porta a trovarci di fronte a riff in grado di non annoiarci o comunque trascinarci anche dopo numerosi giri. Solitamente il problema più grande nel comporre qualcosa di duraturo è non cadere nella noia, quindi direi che alla base di tutto ci sono una buona varietà nei ritmi e tanta melodia!
Laddove il black metal sembra sempre più affollato da one-man band disinteressate a suonare dal vivo, la vostra attività live è invece notevole. Immagino la consideriate un’esperienza che arricchisce ulteriormente il significato della vostra musica, la sua destinazione naturale. Purtroppo io non ho mai avuto il piacere di assistere a una vostra esibizione, ma ho letto in una vostra intervista che viene fuori “una specie di concerto privato con delle persone che guardano da dietro uno specchio”. Giusto qualche giorno fa, invece, vedevo un video di un tipo che, nel dare consigli alle band per finanziarsi l’album, osservando la penuria di posti dove suonare e per poter abbracciare un pubblico geograficamente eterogeneo, suggeriva di fare dirette di live su gruppi privati creati appositamente su Facebook e farvi accedere solo i paganti. Considerando anche la vostra idea di live, fareste mai una cosa del genere, che in fondo non è un’ipotesi così blasfema come potrebbe sembrare, oppure davvero adesso si sta esagerando col virtuale?
Andiamo in ordine.
La nostra concezione di live risiede in qualcosa di molto intimo e privato. Suonare in tre ci ha permesso di scoprire una nuova “direzione” del palco, ciò quella che punta al nostro centro. Mi spiego meglio: siamo girati (io ed Elyza) l’uno di fronte all’ altro, dando quasi le spalle al pubblico per affacciarci al lato della batteria. Questo crea un concerto solo nostro, un emozione privata data dagli sguardi che ci diamo durante lo show o i sorrisi che intravediamo l’uno dell’altro. Siamo lì per coloro che ascoltano sotto al palco, ma in primo luogo siamo lì per noi e per vivere qualcosa di grande assieme. C’è chi non apprezza tutto ciò, chi vuole vedere i volti di chi suona (ogni tanto anche loro vengono accontentati ovviamente), ma a noi la cosa tocca relativamente. Ci emoziona ciò che abbiamo creato e ciò che creiamo, quindi non vedo perché cambiare.
L’attività live va a periodi, abbiamo avuto annate piene di concerti in Italia, cosi come periodi ricchi di serate all’estero e tour, tanto quando fasi di stop dall’attività live. Da quando abbiamo ripreso a suonare nel 2013 siamo sempre stati costanti in quanto siamo convinti che, nel mondo musicale attuale, l’attività live sia fondamentale per permettere ad una band di crescere e farsi conoscere. Anche il fattore virtuale è (purtroppo/per fortuna) fondamentale, e l’idea di fare dirette live può essere interessante ma la vedrei come un iniziativa aggiuntiva rigorosamente gratuita. Un concerto davanti al pc non è come se lo si vedesse da sotto al palco, ma allo stesso tempo è da apprezzarne la presenza (seppur virtuale). Noi per molte cose ci riteniamo alla vecchia… Suonare il giusto, conoscere tanta gente e rimanere nel proprio spazio!
Ultimissima domanda. Dando una spulciata tanto alle vostre foto quanto al vostro merch mi è parso che abbiate una particolare predilezione per le croci rovesciate. Vi va di parlarne?
È una cosa che ci tiriamo dietro sin dall’inizio, niente di specifico. Ci piace il simbolo, il fatto che rappresenti qualcosa di potente e qualcosa che sia l’inverso della massa mediocre. Ultimamente abbiamo abbandonato la cosa, dandoci a qualcosa meno da teenager alla scoperta del diavolo. Manteniamo la maglia con la croce rovesciata nel merch perché è quella che, inspiegabilmente, piace di più.
Abbiamo finito, grazie per il vostro tempo. Chiudete come preferite.
Grazie mille dello spazio concessoci, rimaniamo una piccola scaglia della montagna underground… Avere dello spazio in cui dire quello che siamo e ciò che pensiamo, per noi vuol dire tanto. Supportate l’underground ed andate ai concerti!