Prima della scoperta di questo Impenetrable Cerebral Fortress nulla sapevo dei californiani Gulch, e a metà dell’ascolto del lavoro, ero convinto di stare ascoltando un album uscito per Relapse Records. Invece a produrre il combo di San Jose è la Closet Casket Activities, un’etichetta la cui esistenza, mea culpa, ignoravo, e che si è rivelata una fortunata scoperta (tra gli affiliati anche i deathers Gatecreeper). I Gulch, infatti, hanno tutte le carte in regola per entrare nel jet set delle band estreme: a un grindcore mai troppo minimale o ostico accostano quel tanto di contaminazione tra generi che basta ad intrattenere ed incuriosire ma allo stesso tempo a non stancare. Sono, pur nella loro proposta estrema, una band più equilibrata ed attenta di quello che un ascolto affrettato porterebbe a pensare.
La prima cosa che dell’album salta all’occhio è l’artwork enigmatico e colorato, che ben si abbina a un titolo misterioso come quello riportato qui sopra e che sostituisce i vari schifi sbudellosi che tanto stereotipano il grind con l’illustrazione onirica di una fontana zampillante sangue. Introdotti da quest’immagine si entra in un villaggio (piccolo, raccolto e pieno di scorci suggestivi) le cui abitazioni sono brevi brani (si superano di rado i due minuti) che miscelano il grind, l’hardcore di canzoni come “Fucking Towards Salvation”, il death metal maestoso alla Incantation di altre come “Self-Inflicted Mental Terror”. A volte i ragazzi si lasciano tentare da quei rallentamenti che sono un po’ la moda del momento ma che qui non sfigurano, facendoti buttare su e giù la testa mentre le chitarre e la batteria si trascinano più lente, assicurandosi di averti macinato ben bene le ossa. Si conclude uscendo dal paesello della fontana insanguinata per un sentiero attraverso i campi: la finale e suggestiva “Sin in My Heart”, che deposita attenti arpeggi su un crudo cantato screamo.
La mia paura, terminato il terzo ascolto dell’album, è quella che i Gulch abbiano seguito quella che ormai è la tendenza principale tra le giovani band estreme: confezionare qualcosa di non così lontano da quello che è lo standard del genere e pensare di aver giocato il ruolo, se non degli innovatori, almeno degli alternativi. Quel titolo, quell’artwork, quelle certe contaminazioni… tutto mi porta a supportare questa mia teoria. Nonostante ciò, Impenetrable Cerebral Fortress è un album ottimo se avete voglia di trascorrere un massacrante quarto d’ora e ricevere pure qualche stimolo suggestivo per scoprire un po’ di più il mondo del grind alternativo.
(Closed Casket Activities, 2020)
1. Impenetrable Cerebral Fortress
2. Cries of Pleasure, Heavenly Pain
3. Self-Inflicted Mental Terror
4. Lie, Deny, Sanctify
5. Fucking Toward Salvation
6. All Fall Down the Well
7. Shallow Reflective Pools of Guilt
8. Sin In My Heart