Un piano fatalmente preordinato dalle metal divinità, una coincidenza o la normale dinamica delle calendarizzazioni redazionali? Qualunque sia l’opzione corretta, è un dato di fatto che la tempistica delle recensioni a volte riesce ad apparecchiare strane coincidenze e sembra divertirsi a fornire a stretto giro di posta soluzioni a problemi evidenziati in testi di fresca pubblicazione.
Abbiamo appena affrontato, sulle nostre pagine, l’ultimo lavoro degli Officium Triste e in quella sede, pur sottolineando come The Death of Gaia sia tutt’altro che ascrivibile alla categoria “delusione”, avevamo individuato come causa di qualche scricchiolio di troppo un rapporto complessivamente problematico tra le radici doom/death degli olandesi e gli innesti gothic progressivamente imbarcati nel corso della carriera, rinviando ancora una volta l’approdo a quella dimensione dell’eccellenza palesemente nelle corde della band. Se a questo aggiungiamo le perplessità per una altrettanto significativa dilatazione della componente melodica, forse qualcuno potrà aver pensato che su quelle rotte (peraltro oggettivamente trafficatissime, nell’ultimo quarto di secolo) sia ormai altamente improbabile imbattersi in album per cui valga la pena sostare in devota ammirazione. A smentire simili, fosche previsioni, però, provvede immediatamente l’ultimo nato nella discografia di un gruppo che ha ormai varcato la soglia del decennio di un’attività discretamente prolifica in termini di rilasci e sempre qualitativamente inappuntabile, in un processo di maturazione che pure li ha portati abbastanza lontano da quelle che sembravano le basi di partenza. Non che gli Hanging Garden abbiano davvero sconvolto le premesse poste nel debut Inherit the Eden, ma indubbiamente le ascendenze Swallow the Sun ben più che in filigrana in quel platter hanno lasciato il posto a un approccio alla materia doom/death decisamente meno muscolare e più orientato alle possibili combinazioni atmosferiche, innervate da un gusto gothic estraneo a qualsiasi tentazione declamatoria e concentrato sul versante malinconico/crepuscolare del genere. Così, per molti critici e ascoltatori, un lavoro come il penultimo, ottimo I Am Become è stata la classica candidatura ufficiale a un ruolo di primo piano nello spicchio di cielo rimasto nel frattempo privo della stella-guida Ghost Brigade e alla ricerca di mani altrettanto capaci di combinare ingredienti ad altissimo rischio di saturazione da stucchevolezza e ruffianeria, se maneggiati con superficialità. La sfida per il sestetto finlandese era quella di ripetersi mantenendo almeno il livello del predecessore e questo Into That Good Night si dimostra assolutamente all’altezza del compito, non limitandosi peraltro a riproporre cliché vincenti ma allargando ulteriormente il raggio d’azione della ricerca. Certo, alla base c’è sempre un solido rapporto con le ibridazioni dark/depressive e le attitudini chiaroscurali della più recente scuola Katatonia, ma gli Hanging Garden sembrano spingersi ancora oltre nella ricerca di una chiave di lettura ancora più eterea e, se vogliamo, essenziale e minimalista del mondo gothic, abbassando toni e luci per dare maggior risalto a figure appena disegnate sul fondale. Come al solito, l’arma vincente della band è un innato senso della misura nell’avventurarsi su un sentiero in precario equilibrio tra i due potenziali baratri delle concessioni all’easy listening da likes e visualizzazioni da un lato e dei rischi assortiti di freddezza e cerebralità dall’altro, riuscendo sempre a mantenere più che alta l’asticella del coinvolgimento emotivo. Innegabilmente, l’ossatura di tutte le tracce proposte è fortemente sbilanciata a favore di una resa melodica ad alto tasso di fruibilità anche immediata, ma l’”essere accattivanti” non impedisce mai ai riff delle sei corde o ai tappeti di tastiere di abbattere il muro della banale impeccabilità delle forme. Un discorso a parte va riservato al comparto vocale, dove, oltre alla solita, prevedibile conferma di tutto ciò che di buono già si sapeva sulle doti di Toni Toivonen alla prese con la declinazione della sacra triade clean/scream/growl (e senza mai dimenticare il contributo aggiuntivo di Jussi Hämäläinen), si segnala l’ingresso in pianta stabile nella line up di quella Riikka Hatakka che avevamo già apprezzato per i delicati arabeschi disegnati nell’incantevole “Ennen”, in chiusura di I Am Become. E anche in questo caso la presenza della vocalist nelle tracce, peraltro non contraddistinta dall’onnipresenza, spicca per essenzialità e assoluta distanza da modelli che prevedano trionfi ampollosamente sinfonici (come pietra di possibile paragone, pensiamo alle purtroppo sempre sottovalutate prove di una Nell Sigland, nel crepuscolo dei Theatre of Tragedy). Non è certo un caso, dunque, che in una tracklist complessivamente inattaccabile fin dal terzetto di apertura in cui rivive davvero lo spirito dei Ghost Brigade (e senza dimenticare la successiva “Silent Sentinels”, dove il melodic death di tipica marca scandinava assesta ottimi colpi), i momenti migliori si possano individuare nei rapimenti della sognante “Rain”, negli incantesimi ambient di una semi ballad quasi disarmante per semplicità come “Navigator” e, soprattutto, nel gran finale affidato alla magnifica “Signs of Affection”, che conquista a pieno titolo se non un premio, quantomeno un’autorevole nomination per l’oscar di miglior brano gothic/doom di questo 2019.
Ricercato ed elegante, etereo e malinconico, in qualche passaggio finanche sofisticato ma senza dare mai l’impressione di indulgere nella ricerca della perfezione delle forme per coprire eventuali falle nell’ispirazione, Into That Good Night è l’ennesimo capitolo ottimamente composto in una saga che non ha fin qui conosciuto cali di tensione o anche semplici momenti di appannamento. Per chi cerca nel metal o nei suoi immediati sobborghi una possibile conciliazione tra potenza e afflato melodico, gli Hanging Garden sono una garanzia e una certezza… granitica.
(2019, Lifeforce Records)
1. Of Love and Curses
2. Fear, Longing, Hope and the Night
3. Into That Good Night
4. Rain
5. Silent Sentinels
6. Anamnesis
7. Navigator
8. Signs of Affection