Il duo austriaco Harakiri For The Sky, nato nel 2012, arriva all’importante prova del terzo album. III: Trauma rappresenta la volontà di saper fare ottima musica senza essere per forza essere unici o particolarmente originali. Il post-rock incrociato con il post-black metal negli anni è sempre rimasto fedele a dei saldi principi e questo disco rispecchia esattamente ciò, risultando comunque piacevole e godibile, ideale soprattutto per ascolti notturni. Il minutaggio è parecchio alto, in quanto ogni brano dura circa una decina di minuti, eppure la noia difficilmente compare se non in qualche timida occasione.
L’apripista “Calling The Rain” è la summa delle caratteristiche peculiari del gruppo (da ricordare che a parte le vocals di J.J., alias Michael V.Wahntraum , ogni strumento è suonato dal solo Matthias Sollok), ossia arpeggi melodici immersi nella malinconia, squarciati da una voce aggressiva ma mai eccessivamente pesante e sostenuti a loro volta da una sezione ritmica spesso prepotente, dai tempi tutto sommato medi. È un continuo saliscendi emotivo, potente e deciso, ma dalla giusta componente melodica. Ad accompagnare per mano questo brano, simile per certi versi nelle dinamiche, c’è “Dry The River”, una sorta di fratello gemello che denota quanto i due musicisti siano legati a questo tipo di sonorità. L’opera tende ad essere anche cupa, oltre che triste. Basti pensare alle tracce “This Life As A Dagger” (impreziosita da melodie evocative ed una sezione ritmica pesante e potente) oppure “The Traces We Leave”, dove le atmosfere sono oscure ed in alcuni momenti sfioranti l’apocalittico. Compaiono però anche episodi che offrono altri tipi di emozioni, come “Funeral Dreams”, brano che si incattivisce al pari di una tempesta infuocata con un riffing chitarristico secco e crudo, assemblato ad una voce sempre più aspra. Le autunnali linee melodiche giocano di continuo a nascondino e quelle volte che fanno capolino vengono polverizzate da crudeli e micidiali blast beat, come se il malvagio inverno arrivasse prima del solito.
Come già detto il lavoro, fine e di classe a livello melodico, è notevole, arrivando al suo culmine nella canzone “Thanatos”, la quale, nonostante ci siano esplosioni deflagranti di violenza, risulta sempre assoggettata alla melodia, predominante in ogni momento. Persino le vocals si concedono un attimo di respiro diventando pulite ed intime, quasi poetiche nel loro incedere. In mezzo a tanta bellezza, come spesso accade, due brani risultano in qualche modo schiacciati e privati della giusta dose di cesellatura: “Viaticum” e “Bury Me” soffrono della mancanza di un elemento di contatto tra i punti di forza della band. In questi brani non sono amalgamate a dovere le melodie con le architetture strumentali, facendo sì che tutto resti diviso, come se ci fossero due canzoni dentro un unico blocco.
Un ottimo lavoro, che non stanca mai e che, seppure abbia qualche momento meno riuscito, conferma il duo come uno dei più interessanti e genuini del panorama musicale in questione. Consigliatissimi senza remore.
(Art Of Propaganda, 2016)
1. Calling the Rain
2. Funeral Dreams
3. Thanatos
4. This Life as a Dagger
5. The Traces We Leave
6. Viaticum
7. Dry the River
8. Bury Me