L’artwork del nuovo disco degli austriaci Harakiri For The Sky, forse più degli altri album, lascia uno strano senso di perplessità e può aprire le porte a diverse interpretazioni e non è un caso che anche la musica del duo vada di pari passo spostando l’attenzione su una via non così chiara come ci si aspetterebbe. I mutamenti sono sempre stati presenti nella carriera della band, sin dal piccolo gioiellino Aokigahara che risentiva ancora di un’impronta black metal più marcata. Da III: Trauma la virata verso il post-black metal/blackgaze è stata decisamente più consistente fino ad arrivare all’ultimo Arson che ha lanciato probabilmente il gruppo nel gotha del genere spingendo ancora di più sul fattore melodico. Il recente Mære porta sulle sue spalle un fardello molto pesante e forse questo peso ha creato qualche problema.
Stavolta i due compari Matthias e Michael prendono una strada differente sfruttando come sempre le loro tipiche cesellature melodiche, ma inserendole in un contesto più elaborato. In realtà questa situazione non è immediata dato che la doppietta iniziale è un riuscitissimo connubio di tecnica e pathos a livelli orgasmici. Nell’opener “I, Pallbearer” la chitarra fa un lavoro enorme grazie a riff potentissimi colmi di melodia che esplodono in una furia imponente, senza mai dimenticarsi di sfruttare la tecnica per creare arte. Anche la batteria di Michael è dannatamente sul pezzo scandendo i tempi in modo epico e scatenandosi nella vichinga “Sing For The Damage We’ve Done” con i suoi giri folk nordici della sei corde che sfocia in una tempesta barbarica. Il trademark viene riconfermato grazie ad assoli evocativi, epicità e soprattutto una sfiziosa atmosfera alla Bathory con i suoi cori solenni. Il pathos pagano lascia una scia che viene seguita anche in “Us Against December Skies” che può ricordare i Borknagar in versione meno glaciale e più di assalto. Da questo punto in poi la vena creativa pare adagiarsi su schemi molto similari e frequenti. Il minutaggio di ogni singolo brano è alto e ci si trova con un piede nel “lavoro di mestiere” e con l’altro “nella ricerca di nuove forme espressive”. Non ci sono particolari sorprese in quanto le ritmiche forsennate (“Three Empty Words”) e l’epicità (“And Oceans Between Us”) non offrono nuovi stimoli eppure si sente che c’è un analisi e ciò lo si percepisce dalla massiccia presenza di stratificazioni nascoste nei brani come in “Silver Needle – Golden Dawn” o “Once Upon A Winter” eppure rimangono lì come se fossero nate da delle buone intuizioni che poi non sono andate a buon fine. Ne nasce un disco quindi decisamente asciutto, il che non è necessariamente un male, ma che offre delle premesse che poi alla fine non vengono mantenute del tutto. L’ascolto rimane sempre abbastanza immediato senza che la complessità strutturale dei brani pesi sull’ascoltatore, eppure in più di un’occasione qualcosa non torna e ciò che traspare è che probabilmente si sta attraversando un periodo di transizione o forse c’è stanchezza. Anche la scelta di piazzare la cover dei Placebo “Song To Say Goodbye” in chiusura, per quanto sia ben realizzata, fa riflettere. Forse per la prima volta gli Harakiri For The Sky hanno sfornato un lavoro inferiore ai precedenti frenando i miglioramenti ottenuti finora, ma in fin dei conti l’album invoglia comunque ad essere riascoltato più volte.
Forse l’attesa per un’ulteriore magnifico disco era troppo alta ed il risultato finale non soddisfa le aspettative, pur trattandosi di un lavoro più che buono, che si spera porti i suoi frutti per il futuro.
(AOP Records, 2021)
1. I, Pallbearer2. Sing For The Damage We’ve Done3. Us Against December Skies4. I’m All About The Dusk5. Three Empty Words6. Once Upon A Winter7. And Oceans Between Us8. Silver Needle // Golden Dawn9. Time Is A Ghost10. Song To Say Goodbye