Notte di fuoco e fiamme in quel di Bologna. Il 21 aprile nel bellissimo Zona Roveri si sono esibiti due pesi massimi della scena metal, ossia gli Hatebreed e i Dying Fetus, una combinazione decisamente intrigante. Il difficile compito di rompere il ghiaccio è toccato ai black/death metallers italiani Hierophant, gruppo in costante ascesa nel panorama nazionale. Sul capoluogo emiliano-romagnolo si è dunque abbattuto, come potete immaginare, un possente tsunami sonoro. La serata si è dimostrata riuscita sotto ogni punto di vista: organizzazione perfetta, bei suoni, tanta gente e soprattutto tanto divertimento.
Live Report a cura di Andrea “Exhumed” Ferri e Nicolò Alfei
HATEBREED + DYING FETUS + HIEROPHANT
Zona Roveri, Bologna
21/04/2017
HIEROPHANT – a cura di Andrea “Exhumed” Ferri
Il locale è ancora relativamente vuoto quando il quartetto romagnolo prende possesso del palco. Per nulla intimoriti, gli Hierophant aprono con un brano lento, marcio e lugubre sul quale svetta il growling profondo e cavernoso del vocalist Lorenzo Gulminelli, poi via con una serie di brani dalle atmosfere differenti, alcuni più terremotanti e dominati da tempi medi, altri più macilenti e monolitici. Stilisticamente parlando quello degli Hierophant è un blackened death metal con abbondanti dosi di sludge, una mistura pericolosa e mefistofelica che nei suoi passaggi più tetri porta alla mente i primi Autopsy e gli Incantation. Malgrado sia piuttosto breve lo show degli Hierophant risulta denso e carico di phatos, fatta eccezione per qualche imperfezione nella calibrazione del sound che ha principalmente penalizzato la batteria. I Nostri hanno pestato duro mostrando grandi capacità ed attitudine old-school, in una buona prova che avrà indubbiamente attirato l’attenzione di qualche nuovo ascoltatore.
DYING FETUS – a cura di Andrea “Exhumed” Ferri
Sono circa le 21.50 quando, dopo un rapido cambio palco, i leggendari i death/grinders americani danno il via alla loro esibizione esplosiva; il trio è in forma smagliante e finalmente si percepiscono suoni nitidi e ben bilanciati. Il carismatico John Gallagher governa, come un consumato mattatore, il timone dell’esibizione spendendo poche parole e concentrandosi sulla musica e sull’aizzare la folla, già su di giri e totalmente assorbita dalla potenza sonora esplosiva erogata dalla band. La scaletta ha visto protagonisti gran parte dei brani più significativi e live-oriented delle loro carriera, estratti da album quali Killing on Adrenaline, Destroy The Opposition, War Of Attrition, Descend into Depravity, fino a regalare al pubblico un nuovo pezzo tratto dal nuovo Wrong One to Fuck With che vedrà la luce nei prossimi mesi. Incredibile assente ingiustificata “Kill Your Mother, Rape Your Dog”, brano culto del terzetto di Baltimora che stranamente non è stato suonato nonostante sia stato richiesto a gran voce. Sean Beasley e John Gallagher possono sembrare un po’ burberi ma questo non è un difetto, anzi, questa caratteristica si sposa alla perfezione con la filosofia di una band tutta sostanza, attitudine e niente fronzoli. L’esibizione è risultata poderosa e travolgente, scatenando mosh e circle pit senza sosta in una pioggia di riff quadrati, scariche di doppia cassa, giri di basso terremotante ed alcuni vorticosi passaggi tecnici. I Dying Fetus si sono dunque confermati per ciò che sono: bestie da palco ed ottimi musicisti, una totale garanzia nell’ambito del metal estremo; non è un caso che al termine della loro esibizione il pubblico stremato, ma soddisfatto, li abbia acclamati a gran voce. Speriamo presto di rivederli nel Belpaese, magari nel ruolo di headliner.
HATEBREED – a cura di Nicolò Alfei
È giunto il momento del piatto forte della serata, gli americani Hatebreed. È chiara tra il pubblico la grande voglia di vederli in azione. Il club è gremito di gente e non appena i Nostri entrano si scatena il pogo più selvaggio. James Jasta è formidabile ad arringare la folla e canta decisamente divertito; la sezione ritmica gestita da Chris Beattie e Matt Byrne è quadrata, come anche le due chitarre di Frank Novinec e Wayne Lozynak. La scaletta del combo a stelle e strisce è decisamente azzeccata e godereccia: particolarmente apprezzabile la scelta di pescare brani praticamente da ogni uscita discografica. I suoni che escono dalle casse sono enormi e potenti e vomitano pesantezza hardcore. “Empty Promises” scatena la nutrita fanbase italiana presente e i feroci circle pit si susseguono senza sosta. Fantastico sentire cantare il pubblico sulle note di “Destroy Everything” e “Looking Down The Barrel Of Today”, a volte sovrastando persino la voce del buon Jamey. La band è visibilmente in gran forma (ormai sono a metà tour), ma la vera star della serata è senza dubbio Jasta, che in più di un’occasione dialoga con il pubblico e sovente chiama a raccolta i fan per creare enormi mosh pit. L’immancabile bis sugella una prova veramente ineccepibile che ha soddisfatto tutti i presenti, a dir poco sudati e lerci ma visibilmente appagati.