“Appena sentita quella voce eterea, abbiamo capito che avremmo mosso le montagne, per essere parte in qualche modo di quel progetto”. Così, con un misto di ammirazione ed entusiasmo, il chitarrista Cai Sumption descrive il primo, fatale incontro con un’artista da poco trasferitasi a York dopo aver abbandonato la natia Svezia in cui aveva mosso i primi (peraltro già tutt’altro che malfermi) passi pentagrammatici.
La fanciulla in questione è Helga Gabriel e i più ferrati e assidui frequentatori della scena dark/neofolk scandinava ad alto tasso di fruibilità potrebbero forse aver intercettato i due promettenti cimenti di esordio da solista in formato EP, Nebulous e The Autumn Lament, che nel biennio 2018-2019 avevano lasciato intravedere ben più di un piatto e banale approccio “di maniera” alla materia. Dopo il trasferimento per scelta di vita in terra d’Albione, lady Gabriel ha deciso di ripartire mantenendo il moniker HELGA ma circondandosi stavolta di compagni di viaggio in pianta stabile e questa nuova dimensione-band ha immediatamente catturato l’attenzione dei radar di una label di peso come la Season of Mist, sotto le cui insegne viene pubblicato questo Wrapped in Mist. Sul fronte artistico, complessivamente, la rotta tracciata non propone particolari stravolgimenti rispetto alle prove del passato, ma anche un orecchio poco avvezzo ai labirinti sonori del folk più raffinato ed elaborato di scuola nordica impiega pochi minuti a rendersi conto di essere al cospetto di un lavoro dall’apertura alare non comune, capace di proiettare in dimensioni sconfinate mantenendo contemporaneamente un impianto semplice e accattivante. che osa finanche spingersi alle soglie dell’easy listening senza mai, neanche per un solo istante, suonare stucchevolmente ruffiano. Per molti aspetti, soprattutto al primo impatto, il percorso sembra non allontanarsi troppo dai sentieri battuti dai Myrkur, ma, se è pur vero che ci sono innegabilmente diversi punti di contatto se non altro sul versante della resa atmosferica dell’insieme (oltre al fatto di poter contare su due autentiche fuoriclasse al microfono), è altrettanto vero che là, dove Amalie Bruun intreccia prevalentemente trame folk dal sapore ancestrale con qualche cammeo black, gli HELGA si muovono su un terreno decisamente più mosso e articolato, puntando su contributi tutt’altro che secondari in arrivo dai quadranti prog, post- e finanche doom in chiave esoterica, senza dimenticare un black spesso filtrato alcestianamente da un prisma shoegaze. Non si tratta, ovviamente, di stilare improbabili classifiche di merito, quanto piuttosto di sottolineare come entrambi i moniker abbiano saputo mettere a frutto le impressionanti qualità a disposizione e qui davvero lo spettro vocale della Gabriel si svela in tutta la sua magnificenza, fungendo da tavolozza cromaticamente multicolore in grado di coprire e trasmettere una gamma pressoché infinita di luci e riflessi. Certo, il piatto forte della casa restano i registri malinconico/crepuscolari spesso dallo spiccato taglio “paesaggistico”, ma è bene non sottovalutare tutte le sfumature in campo, a cominciare da una vena narrativa da cantastorie davanti ai focolari dell’inverno del Grande Nord, passando per inserti in cui filtra qualche ombra inquieta, per giungere a momenti di vero e proprio raccoglimento corale dall’esito quasi liturgico (qui si staglia nitida sullo sfondo l’ombra di Sera Timms). Per garantire una simile resa, ovviamente, non può bastare la sola impeccabilità del comparto vocale e, infatti, tutta la band si rivela assolutamente all’altezza, con la sezione ritmica Javed/Fairclough sempre puntuale nel dettare i tempi per modulare la tensione e la coppia di sei corde Gledhill/Sumption che presidia sicura il versante rock delle tracce impedendone qualsivoglia eventuale deriva filiforme, ma una nota di merito particolare va spesa anche per il capitolo ospiti, nella circostanza quanto mai nutrito e variegato. Dalle percussioni alle chitarre acustiche e alle tastiere, si può dire che i Nostri abbiano scomodato qualunque strumento per aggiungere colore ai brani, ma indubbiamente la palma del coraggio (e degli esiti) spetta a violini e violoncelli, che strappano applausi ad ogni apparizione sulla scena. Con simili premesse, affrontare la tracklist di Wrapped in Mist significa attendersi sorprese e colpi di scena dietro ogni angolo e davvero i quarantasei minuti di ascolto finiscono per essere divorati in un sol fiato, con il classico “Già finito? Peccato, ne vorrei ancora…” a fine viaggio che è inequivocabile certificazione dell’imperdibilità di un album. Bastano ad esempio pochi secondi all’opener “Skogen mumlar” per trasportarci in un orizzonte tribalistico/cerimoniale, ma giusto il tempo di illudersi di aver afferrato il cuore pulsante del brano ed ecco che partono a raggiera infinite divagazioni sul tema, con relativi attraversamenti dei confini tra generi, mai come in questo caso frantumati e resi fluidi, complice anche il trionfo della sezione archi Bolotin/Nicodemo/Zeitlin. Catturata immediatamente l’attenzione, il disco non molla più la presa e ogni traccia reclama giustamente a gran voce una sosta per apprezzarne al meglio architetture e dettagli. Non resta che affidarsi al gusto personale per scegliere le perle del lotto, tra i richiami prog di “Burden” e della conclusiva title-track, la sensuale e voluttuosa malinconia di “Water” ed “Alive Again”, o i tappeti morbidi su cui si adagia tra delicati riflessi shoegaze “If Death Comes Now”. C’è ovviamente spazio anche per qualche strappo black (“Farfäl”), sia pure sempre atmosfericamente declinato e comunque compensato dai violoncelli struggenti di Bruno Serroni e Joe Zeitlin, mentre “Vast and Wild” innalza senza sbandamenti vele pop su alberi maestri folk e “Mountain Song” sonda prospettive bucoliche, candidandosi a punto di contatto più evidente con la lezione Myrkur. Stilisticamente un po’ più defilata rispetto al resto della compagnia ma non per questo meno convincente (anzi…), “Som en trumma” parte su uno sfondo ritmicamente scandito dove la Gabriel indossa i panni di una sacerdotessa alle prese con un rito iniziatico, ma mentre si attende la materializzazione della divinità così invocata ecco che all’improvviso le candele si spengono e il fumo degli incensi si dirada… e gli astanti scoprono che la sacerdotessa indossa ora i panni di Neige.
Un mondo magico e dai contorni indefiniti che accetta di mostrarsi agli umani sensi, un turbinio di emozioni che prendono forma in atmosfere incantate, un cocktail di generi musicali perfettamente amalgamati con disarmante naturalezza, Wrapped in Mist è un album che sfiora la dimensione del capolavoro, annunciando la nascita di una nuova stella sotto il cielo della musica d’autore. Se queste sono le premesse, il viaggio appena (ri)partito degli HELGA si preannuncia clamorosamente trionfale.
(Season of Mist, 2023)
1. Skogen mumlar
2. Burden
3. Water
4. If Death Comes Now
5. Farväl
6. Alive Again
7. Vast and Wild
8. Som en trumma
9. Mountain Song
10. Wrapped in Mist