Gli Hifiklub sono una di quelle band che, fin dalla nascita nel 2007, ha sempre avuto un debole per le collaborazioni. Questo particolare trio francese, devoto alla sperimentazione, è un piccolo collettivo molto aperto un po’ come lo erano i King Crimson che gravitavano attorno alla figura di Fripp. Sono oltre centocinquanta le features musicali che hanno investito il nucleo principale degli Hifiklub (fra i tanti ci sono nomi come Lee Ranaldo (Sonic Youth), Alain Johannes (Queens of the Stone Age, Them Crooked Vultures, Eleven), Igor Cavalera (Sepultura, MixHell), Mike Watt (Minutemen, The Stooges) e Fatso Jetson portando le sonorità sempre su lidi variegati: dal pop al jazz, passando per la musica tradizionale per finire su territori più distorti che potrebbero incuriosire gli ascoltatori più legati ad un mood più duro. A quanto pare c’era ancora qualche landa inesplorata ovvero la “musica contemporanea”, termine da prendere con le molle dato che questo Last Party On Earth è qualcosa di parecchio particolare.
Nuovo disco ed ovviamente nuovi ospiti, che non sono neanche pochi, in primis il compositore/pianista/insegnante Jean-Michel Bossini (coinvolto sia in numerosi progetti musicali sia in ricerche presso l’università di Aix-Marseille) a cui si aggiunge il multi strumentista inglese Duke Garwood (collaboratore anche dei The Orb per non parlare del sodalizio con Mark Lanegan) ed addirittura un trio d’archi che agisce sotto il nome di Anpapié (Alice Piérot al violino, Fanny Paccoud alla viola e Elena Andreyev al violoncello).
Ciò che ne viene fuori è un disco decisamente strano, forse troppo pretenzioso, che si basa su un lotto di canzoni spesso brevi e con delle idee che lasciano molte perplessità necessitando di molti ascolti per essere comprese. Il magma sonoro è multiforme basato su colonne composte da musica classica molto stridente (“Lake of Trees”) che si innalzano su molti piani di ascolto inglobando piano piano chitarre stoner/blues, drumming storto ed un cantato molto crooner imbevuto di nera profondità ad opera di Mr. Duke (“Eye of the Road”) per poi virare nel noise stralunato sorretto da pennellate chitarristiche molto acide e folli. L’ascolto è sempre più impegnativo e la fluidità non è così morbida come ci si aspetterebbe dati i continui spigoli compositivi. “Ancestors in Stone” è un corale crescendo drammatico alla Tom Waits che lascia spazio agli Ulver cantautorali di Shadows Of The Sun nell’intimismo di “Calling The Toad” per poi immergersi nelle visioni blues di “Deep as the Sun” fino agli enigmi sperimentali di “Bubba Linguist”. Nonostante le molte contaminazioni c’è una sorta di “fil rouge” che rende le tracce molto simili fra loro dando la sensazione che sia come se si avesse preso una lunga suite spezzettandola nei punti sbagliati ed accorciandola facendole perdere forza espressiva e vigore. Fortunatamente ci pensa il prog/art rock di “Easy Up Slow Down” a risollevare la situazione accoppiato al drone/doom di “Lake of Tears” che pone fine ad un’opera ardua da digerire.
Difficile, molto difficile dare un voto ed un’opinione oggettiva. Questo trio è una sorta di mix fra Frank Zappa e Captain Beefheart trasportati nei tempi moderni. Bisogna solo ascoltare, le parole servono a poco.
(Subsound Records, 2021)
1. Lake of trees
2. Eye of the road
3. Bitter beautiful
4. Ancestors in stone
5. Calling the toad
6. Deep as the sun
7. Bubba linguist
8. Smile like a reptile
9. Last party on earth
10. Dunes of worthless gold
11. Easy up slow down
12. Lake of tears
7.0