Ventuno anni di attesa. No, non stiamo parlando del prossimo album dei Tool ma del ritorno di una band che forse, per certi versi, può averli influenzati, cioè gli americani Iceburn (conosciuti anche come Iceburn Collective) nati nel lontanissimo 1991. Nel 2000 viene pubblicato il loro ultimo disco e poi l’oblio, salvo una reunion sette anni dopo che non si sapeva a cosa avrebbe portato. Alla fine arriva, quasi a sorpresa, questo Asclepius che segna il ritorno del buon Gentry Densley, mastermind e unico membro fisso trta gli innumerevoli cambi di line-up. Il sound della band non ha mai avuto delle connotazioni precise ma è sempre stato in evoluzione grazie anche all’apporto di ogni musicista che via via è stato coinvolto.
Questo disco è suddiviso in due tracce, ognuna di circa diciotto minuti, e pare che la band abbia scelto di tornare molto indietro nel tempo. Anziché riproporre sonorità avanguardistiche e sperimentali, che hanno fatto la fortuna di dischi come Polar Bear Suite e Meditavolutions, Gentry ha preferito concentrarsi su di un mood più grezzo e quadrato guardando ai primissimi album (Firon e Hephaestus) quasi come se avesse deciso di chiudere un cerchio immaginario nella sua mente oltre che nella sua lunga carriera. La prima traccia è “Healing the Ouroburos” e fa capolino un doom/post metal multiforme ed infarcito di riff pachidermici e fumosi con delle ritmiche profumate di jazz/fusion; questa è solamente la crosta esterna dato che poi è un susseguirsi continuo di vocals fra il mistico e l’acido, tornado rock’n’roll, progressioni acido/psichedeliche e bordate di chitarra che accelerano arcigni e rugginosi. E’ un miscuglio disturbante e per coglierne ogni dettaglio necessita molta pazienza. Sembra che la band abbia cercato una via di mezzo fra la ruvidezza del periodo iniziale e la follia che sarebbe venuta in tempi successivi. Il secondo brano “Dahlia Rides the Firebird” dopo il finale disturbante della song precedente aumenta la dose di distorsione in maniera rigida e storta in una sorta di mantra ossessivo e ripetitivo per mascherare tanti piccoli dettagli come le dilatazioni psichedeliche, il jazz, detonazioni sludge e qualche concessione strutturale al prog rock.
Siamo di fronte a un disco con molte stratificazioni e sebbene non sempre brilli per originalità o efficacia bisogna considerare che è merce rara di questi tempi. Asclepius sfodera classe ed una freschezza superiori a moltissimi colleghi più blasonati. Ha al suo interno luci ed ombre, e malgrado qualche difetto resta un gioiellino oscuro che merita di essere ascoltato, e può anche essere una scusa per recuperare anche la discografia passata, forse rimasta troppo in ombra. Bentornati Iceburn!
(Southern Lord Recordings, 2021)
1. Healing The Ouroboros
2. Dahlia Rides the Firebird