A volte mi chiedo come mai non riesca più ad appassionarmi ai dischi come un tempo. Quando ero solito legarmi in modo maniacale agli album che ascoltavo. Non credo si tratti solo di un deterioramento delle mie capacità cognitive legate all’invecchiamento. Alla fine ho passato da un anno i cinquanta, sono ancora relativamente giovane, per lo meno anagraficamente. Penso invece che si tratti di un diverso approccio all’ascolto. È questo che considero mutato rispetto ai primi anni in cui ho iniziato a ascoltare musica in modo pressoché continuativo.
Oggi siamo “sommersi soprattutto da immondizie musicali” come diceva il maestro catanese. La mia casella di posta elettronica riceve un numero incredibile di sollecitazioni sonore, a cui non è per nulla facile stare dietro. Per non parlare del passaparola online che ti tiene sempre sul pezzo. C’è sempre un link nuovo ogni giorno da aprire e a cui prestare attenzione. Non sono ovviamente, al netto della polemica gratuita, immondizie, anzi spesso mi capita di trovare materiale veramente interessante. Il problema però si materializza nel momento in cui mi ritrovo a dover ascoltare un album in modo “esclusivo”. E con il termine intendo dando al disco l’esclusività della mia attenzione, scevra da distrazioni di ogni tipo. È qui che inizia il casino. Per tutta una serie di motivi.
Intanto rispetto al passato viene a mancare lo strumento principe per l’ascolto. Lo stereo. Il mio, tra un restauro e l’altro mi accompagna dal 1984 e faccio davvero fatica a pensare di dover ascoltare la musica attraverso un altro mezzo tecnologico, più o meno avanzato. Spesso passo i file digitali su CD in modo da poter godere del suono in modo quanto più completo e gradevole possibile. Sarò vecchio, ma per me lo streaming rimane un ottimo veicolo promozionale ma nulla più. Utilissimo per le recensioni, perché permette di accorciare i tempi di lavoro e non grava sui progetti costretti a mandare CD gratis alle testate. Anche perché qui si aprirebbe un capitolo a parte relativo a tutti coloro che chiedono una copia fisica per la recensione. Ma non è questo il momento di parlarne. Non voglio farmi nemici anche oggi, fermiamoci qui.
Per poter davvero gustare un album è per me necessario eliminare ogni fonte di distrazione. Cerco di ricreare quella stanza ovattata in cui mi chiudevo in gioventù. Quando ancora internet e i PC non esistevano, non c’era interazione senza limiti di tempo e di spazio come ora, e l’unico telefono di casa era il fisso che comunque non squillava mai prima di una certa ora, perché le tariffe più economiche si avviavano in contemporanea con l’imbrunire. C’era spazio solo per me, lo stereo e il foglio con i testi del disco. Beh, ovviamente parliamo dei dischi in vinile, l’avvento del CD è molto più recente rispetto ai miei ricordi. Le uniche distrazioni potevano essere il bere e il mangiare, poi per il resto la testa era totalmente concentrata con l’ascolto proprio grazie al foglio dei testi che ti costringeva a restare sul pezzo per calarti dentro ai brani in modo totalizzante. La conseguenza era che potevi riconoscere ogni istante di ogni brano del disco senza alcun problema. Anche a occhi chiusi.
Tutto era figlio di una diversa “offerta” che si sposava con una ridotta capacità di acquisto, vista l’età. Non c’era altro luogo che il negozio di dischi in cui reperire gli album. Le notizie arrivavano grazie al passaparola degli amici grazie alle prime fanzine autoprodotte e fotocopiate, o grazie alle informazioni dei negozianti che (tranne alcuni rari casi) non esitavano a metterti il disco sul piatto per fartelo ascoltare prima dell’acquisto. La prima scrematura era la loro. Erano infatti le loro scelte a determinare l’arrivo di un album anziché di un altro in città. Se poi volevi andare oltre le prospettive della città di provincia, allora non restava che prendere il treno e andare alternativamente nelle due grandi città che distavano pressappoco la stessa tempistica, vale a dire Genova e Firenze, dove esistevano anche i negozi di dischi “specializzati”.
In ogni caso al massimo potevi permetterti non più di due album alla volta, acquistati rigorosamente il sabato pomeriggio. E a cui avresti poi dedicato l’intero fine settimana, dato che una volta spese le trentamila lire per i due dischi non restava praticamente nulla in cassa per eventuali vizi o spese extra. Ma non era un problema. Ricordo quando comprammo “Altars of Madness” dei Morbid Angel a Genova. Il tipo fra un discorso e l’altro ci disse un qualcosa del tipo “Ah, e poi mi è arrivato anche questo e mise su “Immortal Rites”. Eravamo in quattro e ne prendemmo una copia a testa ancor prima della fine del brano. Era il 1989 e quell’anno facemmo incetta di album che ancora oggi considero imprescindibili, come Carcass “Symphonies of Sickness”, Dark Angel “Leave Scars”, Destruction “Live Without Sense”, Kreator “Extreme Aggression”, Macabre “Gloom”, Morbid Angel “Altars of Madness”, Obituary “Slowly We Rot”, Pestilence “Consuming Impulse”, Sabbat “Dreamweaver”, Sepultura “Beneath the Remains”, Sodom “Agent Orange”, Terrorizer “World Downfall” e Voivod “Nothingface”, per restare sui titoli più mainstream.
La cosa bella era che fino al sabato successivo non avevo altro da ascoltare e potevo dedicare ogni istante libero dallo studio e dal basket allo stereo, sparato rigorosamente a volume interstellare dato che i miei lavoravano entrambi e rientravano solo alla sera. Oggi la vita si è fatta maledettamente frenetica. Ci siamo fatti ingabbiare in questa serie di dinamiche ultra-tecnologiche che dobbiamo per forza di cose soddisfare in modo quanto più rapido possibile. E non riusciamo più a godere di ciò che ascoltiamo. Sia chiaro, sappiamo perfettamente farci piacere un album ma il coinvolgimento non è più intenso come un tempo. Abbiamo da fare altre mille cose nel frattempo e non siamo in grado di dire no a nessuna sollecitazione che ci arriva. Siamo talmente di corsa che abbiamo finito per velocizzare anche il nostro rapporto con la pornografia. I video online sui portali dedicati si fanno sempre più brevi e specifici, pronti per soddisfare ogni nostra inclinazione catturata tramite le nostre preferenze di ricerca. Abbiamo i tempi contati anche per masturbarci. Io direi che sarebbe l’ora di provare a fermarci un attimo, stiamo andando troppo rapidamente incontro alla fine. Nel momento in cui ci renderemo conto di aver deragliato sarà troppo tardi.
Non so se questo possa essere visto come un atto di accusa alle generazioni successive alla mia. Sinceramente non era e non è questo l’intento di partenza. È un qualcosa che non mi interessa fare. Non mi pongo i problemi di persone che non conosco e con cui interagisco in modo frettoloso e spesso, purtroppo superficiale. Faccio già fatica a pensare ai miei di problemi. E non credo nemmeno si possa inquadrare come un’operazione nostalgica. È solo il racconto di uno che un tempo godeva nell’ascoltare musica e che si rende conto che oggi riesce ad appassionarsi in maniera minore, senza riuscire ad abbattere quella distanza che in teoria la tecnologia, un tempo assente, dovrebbe aiutare ad eliminare.
Mi sono chiesto spesso come sarebbe stato, al tempo, avere a disposizione tutto quello che abbiamo ora a portata di click. E mi sono anche dato una serie di risposte, ma nessuna delle quali mi ha soddisfatto. Per cui resto qui, interdetto a pensare che se ascolto più volentieri la musica di quegli anni non è perché oggi non ce ne sia di qualità, al contrario, oggi ci sono progetti molto più validi sotto tutti i punti di vista, ma è solo perché non sono più in grado di innamorarmi. Mi hanno rubato l’anima, il cuore e la speranza, e non vedo un domani a cui guardare con interesse. Ma non mi ruberanno mai i ricordi.