Cogliamo l’occasione per le nostre riflessioni dopo aver visto, e apprezzato, un contributo video dell’amico Antonio Sechi sul suo canale Youtube HerPoisonedVeil.
L’argomento del contendere verteva intorno alle stravaganti affermazioni del messia Silvestrin sulla “scena underground” italiana, bollata come inesistente e priva di qualità. Già qui potremmo fermare tutto e chiedere lumi su come una cosa che non esiste possa esser priva di qualità. Ma andiamo avanti, tempo ne abbiamo. Anche perché non è questo il punto focale del ragionamento che le parole del buon Sechi ha messo in moto.
Al netto del fatto che non siamo soliti seguire le performance televisive del suddetto messia, chiediamo subito scusa nel caso dovessimo aver omesso particolari di non poco conto. Quelle che seguono sono le nostre riflessioni, spontanee, che sentiamo di dover mettere nero su bianco, anche solo per ribadire la bontà del contributo di Antonio Sechi, per non lasciarlo cadere nel dimenticatoio della rete, così follemente veloce nel fagocitare e archiviare nell’infinito dell’etere.
La vostra prima obiezione siamo certi essere un qualcosa che ruota intorno al “ma chi cazzo se ne frega di Silvestrin?”. Su questo avete tutte le ragioni del mondo. Ci sono argomenti molto più interessanti, che sentiamo decisamente più vicini e più affini alle nostre idee e al nostro modo di ragionare. Però, per una volta, lasciateci scivolare su argomenti meno “impegnati” rispetto al solito.
Non siamo qui a mettere in dubbio la conoscenza musicale del messia, non ci interessa sapere quanti dischi ha in casa e quanti ne abbia effettivamente ascoltati. Non è una gara chi ce l’ha più lungo, al limite possiamo farla a chi ce l’ha più piccolo, ma questa, come dice Lucarelli, “è un’altra storia”. Quello che ci interessa, verte invece sull’onestà intellettuale del personaggio in questione. Che, nella sua fastidiosa e ridondante flemma, con cui ostenta “sapere”, si spinge alle affermazioni di cui sopra, sulla scena underground italiana.
A noi non preme sottolineare quanto sia noioso ascoltarlo, queste sono dinamiche strettamente personali che non approfondiremo in questo contesto. Ci teniamo però a evidenziare come manchi completamente l’onestà intellettuale del messia. Al netto del fatto – secondo noi, per certi versi condivisibile – del fatto che non ci sia la possibilità di aprire un dibattito nei suoi spazi, dove i commenti non sono ammessi, dal momento che, a suo dire, siamo pubblico, e come tale privo di voce in capitolo. Siamo spettatori e ci dobbiamo comportare come tali, prendere passivamente la magnificenza culturale che figure come la sua ci elargiscono.
Abbiamo dato un occhio ai suoi contributi più datati, quelli, per intenderci dove ancora poteva esserci un contraddittorio, e siamo d’accordo sul fatto che i commenti non aggiungessero nulla. C’è però da precisare – cosa di non poco conto tra l’altro – che il pubblico, e di conseguenza i commenti che ne derivano, te li scegli tu, nel momento in cui imposti una linea editoriale e concettuale nei tuoi contributi video. Non puoi pensare di divulgare ottusità senza riceverne in risposta altrettanta. Se abbassi il livello della conversazione finirai per forza di cose ad avere un target di sostenitori al tuo livello. È un po’ come se Salvini si lamentasse dell’assenza di cultura dei suoi elettori.
Come detto, siamo in linea con l’abolizione dei commenti. Si creava un’interazione inutile tra chi, come lui vive di certezze, e non è disposto a recedere dalle proprie granitiche posizioni. Tutto molto confuso, tutto molto inutile. Detto questo, arriviamo ai cardini del nostro ragionamento, che sono sostanzialmente due, tra loro intimamente “legati a doppio filo ad un passato fallimentare” come disse Re Silvio, il martire di Arcore recentemente, e trasversalmente, beatificato, nella sua discesa in campo del Gennaio del 1994.
Il messia ha provato a fare musica ma non lo ha cagato nessuno, nonostante la vendibilità della sua immagine riciclata da presenzialista e prezzemolino della tv nazionalpopolare. Ne consegue, secondo la nostra maliziosa idea, che un po’ questa cosa continui a dargli fastidio. Quando vedi gli altri andare avanti, suonare, fare dischi, andare in tour, e tu, che ti reputi al di sopra di tutti, resti a farti le seghe mentali, un po’ senza dubbio brucia. Ma non si tratta di voler colpire il messia, è una reazione umana, forse la prima e la più spontanea che gli abbiamo mai potuto associare. Ne consegue un qualcosa del tipo “se non ci sono riuscito io, allora è tutto merda”. Sbattere su una interminabile serie di porte chiuse, nonostante, come detto la “vendibilità” del prodotto, non fa piacere a nessuno, men che mai a un assoluto che vive di assoluti come il messia. Se non ho qualità io, che sono l’esempio di cosa significhi conoscere la musica, allora tutto è brutto, sporco e cattivo. La musica italiana fa schifo, e quella poca che esiste copia gli standard esteri.
Peccato che le cose stiano esattamente all’opposto di come le dipinge lui.
Sappiamo perfettamente tutti come sia sostanzialmente molto più facile distruggere che non costruire. Questo è palese. Come è altrettanto palese che ci sia una mancanza di onestà intellettuale nel dipingere le cose a proprio favore, per perorare e fortificare le proprie posizioni. Questa però non rappresenta minimamente la “divulgazione” di cui si fa portavoce il messia. È disonestà.
C’è un gran numero di progetti italiani che, costantemente, suona ad ogni latitudine, europea e non. Possiamo far finta di non vederli, ma ci sono.
Inutile mettersi ora qui a fare elenchi. Sarebbe inelegante, anche perché sicuramente dimenticheremmo qualcuno. I nomi ci sono e sono sotto gli occhi di tutti, basta però volerli vedere. E non parliamo solo dell’ambito sonoro che più sentiamo affine, visto lo spazio che abbiamo su queste pagine. Possiamo senza dubbio allargare il discorso a molti altri ambiti, come quello elettronico, in cui brillano esempi di qualità artistica elevatissima. Andrebbero però conosciute meglio le cose, approfondite, rivalutate, contestualizzate. E poi solo in un secondo momento tirare le somme. Facile negare aprioristicamente perché si è di parte. Oltretutto non vogliamo minimamente tessere le lodi di un qualcosa che non ci ha mai appassionato, e di cui non sappiamo se ci siamo mai sentiti parte, da sempre portati come siamo all’isolamento. Si tratta però qui di ribadire un concetto che è chiaro a chiunque abbia l’onestà di ammettere che c’è un mondo musicale tanto vitale quanto numeroso, che, qualitativamente non ha da invidiare nulla all’estero. Ci sono realtà che possono non piacere, e difatti parte dei nomi di punta di questa fervente ondata italiana proiettata oltreconfine, non ci piace per nulla. Ma non possiamo negarne l’esistenza. Sarebbe tanto stupido quanto disonesto anche solo pensarlo. Basta guardare quello che puntualmente recensiamo su GOTR. Ci piace cullarci in progetti ai margini. Ma non per spocchia elitaria, o per snobismo. Il fatto è che quello che piace a noi, solitamente non piace a nessuno o quasi. La follia che ci guida e che ci spinge a proseguire in questa esistenza terrena ha necessità di input che evadano e che siano rinnovati esteticamente quanto più spesso possibile. Si tratta solo di questo.
Nel momento in cui il messia sceglie di buttare merda su tutto, ci viene spontaneo pensare che ci siano delle motivazioni che lo toccano da vicino, e lo portano ad agire in questo modo.
Senza contare – e qui arriviamo alla seconda parte del nostro ragionamento – che ormai lo vediamo sempre più prigioniero di un personaggio che si è sapientemente, e intelligentemente, costruito. Un figura che si muove sopra le righe dispensando cultura, saggezza e in grado di stroncare tutto quello che non si avvicina, o che mina, il suo pensiero allineato. Ancorché unico e solo. Il tutto è ancora più triste perché gli riconosciamo una cultura di base non da poco, andata però sacrificata sull’altare della gloria e dell’individualismo edonista.
Svoltare sarebbe oggi come dover ammettere un fallimento. Recitare un mea culpa che il nostro messia non ha minimamente intenzione di pronunciare. Perché lui è l’unico e il solo. E noi solo spettatori non dotati di intelletto. Facciamocene una ragione. Lui non cambierà, perché è nel giusto.
Se queste sono le premesse e le qualità per elevarsi al rango di divulgatore musicale, capite bene come non possano esistere i presupposti per sprecare il nostro tempo a seguire i suoi contenuti, fatti salvi i momenti più intellettualmente cafoni che i nostri inside men ci passano regolarmente. Non abbiamo mai avuto simpatia per gli assolutismi, in ogni loro forma, campo e manifestazione. Così come non crediamo in nessun dio o messia.
Chiudiamo come abbiamo aperto, citando la fonte che ha permesso queste nostre divagazioni sul tema, tanto inutili quanto prive di sostanza. Vogliatevi bene, date un occhio a Non Sapevamo Quanto Eravamo Fortunati, il documentario recentemente realizzato, in cui si racconta il biennio pandemico in ambito musicale underground.