Isafjørd, da Ísafjörður, “fiordo di ghiaccio”, è il nome di una città islandese che ha dato i natali ai genitori di Aðalbjörn Addi Tryggvason (Sólstafir) e Ragnar Zolberg (ex Pain of Salvation), due anime che si sono congiunte musicalmente per dare alla luce questo progetto, e al suo primo vagito musicale, Hjartastjaki. Lontano da ogni possibile velleità metal, il presente disco è un delicato arpeggio rock intimo e dalle cadenze “post-” figlie sia degli ultimi Sólstafir (Ótta è un riferimento abbastanza diretto), dei Sigur Rós (immancabili quando si va ad unire l’Islanda alle sonorità sopra citate), e di certi gruppi progressive rock che flirtano con atmosfere folk, acustiche e alternative (Venus Principle, Crippled Black Phoenix, ultimi Anathema). Ne emerge un disco di fattura sopraffina, che come un fermo immagine immortala e prolunga per tutta la sua durata gli ultimi istanti di un tramonto tardo autunnale, dal cielo limpido ma dall’aria fredda, in cui le ombre sono più lunghe e i colori più caldi grazie al sole che sta tramontando e che sembra accendere il tutto con innaturale calore.
Da un punto di vista vocale le voci di Addi e Ragnar duettano e si fondono in maniera egregia, la prima più graffiante, la seconda più cristallina, gelo e caldo che si mescolano come ghiaccio e fuoco, per otto movimenti insieme flebili e pesanti come macigni, emozionanti, che ci mettono il tempo di un ascolto per arrivare diretti al cuore grazie alla loro fruibilità così “pop” e insieme così incisiva, diretta, naturale. E poi ci sono quegli archi, quelle distorsioni, quelle progressioni ipnotiche e quei crescendo emozionalmente disastrosi (in senso buono!), che crescono e ti sbattono addosso ondate di puro pathos, che rendono impossibile scegliere un brano piuttosto che un altro. Di fatto Hjartastjaki ti trasporta in un altro mondo e in un altro tempo, che può essere quello della città ritratta nella copertina (con ogni probabilità una vecchia riproduzione della città di Isafjørd), o una dimensione interiore, uno spazio tutto nostro nel quale possiamo riflettere su noi stessi, sui chiaro-scuri che vivono dentro di noi, nel quale possiamo prenderci un momento per respirare, piangere, emozionarci, dedicarci a noi stessi. Le atmosfere non sono sempre oniriche e pacate: i Nostri di tanto in tanto amano graffiare non solo a parole ma anche con gli strumenti. Ecco allora che le sonorità si irrobustiscono, le chitarre si fanno più dinamiche e incisive (e qui la lezione dei Sólstafir emerge con prepotenza), ma non si abbandona mai quell’approccio liquido e progressive che sembra caratterizzare ogni minuto del disco, qualunque sia il mood affrontato.
Sul finire dell’autunno gli Isafjørd ci regalano un’opera magniloquente e allo stesso tempo intima, coinvolgente senza essere pacchiana, fredda e calda allo stesso tempo, un disco che, a parere di chi scrive, entra di volata nella top ten dell’anno. E meno male che i Nostri hanno deciso di regalarci Hjartastjaki proprio adesso: un album come questo, pubblicato in un’altra qualsiasi stagione, forse non avrebbe avuto lo stesso impatto prorompente che invece, per fortuna, potrà avere adesso. Ascoltatelo, lasciatelo crescere dentro di voi, non ve ne pentirete.
(Svart Records, 2022)
1. Falin Skemmd
2. Mín Svarta Hlið
3. Hjartastjaki
4. Heiðin
5. Kuldaró
6. Fjord of Hope
7. Njálssaga
8. Andvök