È di fine ottobre l’esordio discografico dei forlivesi Kids on Neptune, Homeland, uscito per Seahorse Records. Un full length di dieci brani che si muove a cavallo tra un punk rock classico, un alternative rock contaminato dal grunge e qualche nota psichedelica. Ne viene fuori un lavoro che per forza di cose fotografa una realtà musicale, quella dei Kids on Neptune, in qualche modo ancora leggermente acerba e che presenta qualche macchiolina che purtroppo ne pregiudica il valore complessivo ma che, al contempo, è pieno di tanti, ottimi, spunti.
E ciò lo si nota sin dall’opener “Bodies in Lies” per la quale è stato girato un video e che con ogni probabilità risulta essere il momento migliore dell’album. É un pezzo di rock sporco, grezzo, dall’attitudine acida e punk, seppur ben mitigato da linee alternative che non sfociano mai nell’eccessivamente ruffiano e radiofonico. Sulla stessa falsariga si collocano “A Simple Night” che presenta delle belle soluzioni spiazzanti e un riffing, nella seconda parte, che ricorda lo Slash dei Velvet Revolver, oltre che qualche ingenuità; “Polish State of Mind” con la sua semplicità di scrittura, ritmi sostenuti e una voce poco controllata, o ancora la catchy ed ammiccante “She Will Keep Us Alive”, che ripropone un sound alternative orientato verso un hard rock sleazeggiante, quasi alla Buckcherry giusto per fare un nome. Dall’altro lato ci sono dei brani che tendono ad essere maggiormente indirizzati nel senso di un rock dai sentori grunge e psychedelic. Così sono “A Collapse”, un’intricata canzoncina di morbido post-grunge, con un ingresso alla Soundgarden, “Children of the Sun” una sorta di ballata con dei bei affondi, una cosa tra Smashing Pumpkins e i primi Silverchair, quelli con i riff grossi e “Noting but No One”, un brano delicato, sommesso ed equilibrato nelle sue parti. L’anima più psichedelica si da invece a vedere in “2.20”, fascinosa e suadente, con l’aggiunta di una voce femminile, che immaginiamo sia della bassista Matilde Marchetti, e nella conclusiva titletrack in cui, oltre alle iniziali strizzate d’occhio a un certo grunge delicato, prende il sopravvento l’anima più psych dei Kids on Neptune. Nel mezzo anche un brano più trascurabile come “Not Even Sorry”.
Al di là dunque di una organicità stilistica non ancora compiuta e omogenea, che di contro gli permette però un certo spazio di sperimentazione, Homeland è un frutto ancora non del tutto maturo. Specie per certe scelte poco smaliziate che danno a volte l’impressione di ascoltare un gruppo appena sceso dal palco della giornata dell’arte e per una voce, piazzata eccessivamente in primo piano e che non sempre arriva con facilità a toccare i punti più alti, che, se è ottima e brillante nelle invenzioni di stupende linee melodiche, è ancora da curare parecchio nell’esecuzione e un tantino, mi è sembrato, nella pronuncia. Eppure, nonostante qualche pecca, Homeland è un album che si lascia ascoltare piacevolmente, un buon biglietto da visita, incoraggiante, per una band dagli ampi margini di miglioramento.
(Seahorse Records, 2017)
1:Bodies in Lies
2.A Collapse
3.A Simple Night
4.Children of the Sun
5.2.20
6.Polish State of Mind
7.She Will Keep Us Alive
8.Nothing But No One
9.Not Even Sorry
10.Homeland