
Ne parliamo colpevolmente solo ora, con qualche mese di troppo, e chiediamo scusa per il ritardo. Persi dietro a dinamiche extramusicali, avevamo lasciato da parte il disco dei King Potenaz, ripromettendoci di farlo transitare sulle nostre pagine, salvo poi scordarcene. Per fortuna lo abbiamo recuperato, perché condannarlo all’oblio sarebbe stato un errore, e un’ingiustizia, che il disco non meritano affatto, perché Arcane Desert Rituals Vol. 1, album che segna anche il loro passaggio alla Majestic Mountain Records, dopo Goat Rider il debutto su Argonauta di un paio di anni fa, è veramente un gran bel disco. L’album mostra immediatamente il suo carattere deciso, che sposta il sound del trio verso una maggiore eterogeneità (con un conseguente aumento della qualità) che lascia intravedere margini di crescita sia nell’immediato, che per il futuro. Quello che emerge da Arcane Desert Rituals Vol. 1 è un tentativo (riuscito) della band di andare a concentrarsi su una maestosità nuova, che, se oggi è il punto di forza dell’album, domani potrebbe rappresentare quel carattere di fondo su cui plasmare un sound ancora più devastante.
Il disco, anche (e soprattutto) dopo ripetuti ascolti riesce a non mostrare mai (eventuali) tempi morti, fatti di riempitivi atti a mascherare momenti di stanca. Segno che il monolitico trip sonoro orchestrato dai King Potenaz funziona, ma anche che la band è perfettamente consapevole del proprio potenziale. Quelli che ci offrono sono soltanto quattro momenti, peraltro caratterizzati da una lunghezza importante che arriva a sfiorare i quaranta minuti, in cui la band segna il passo attraverso un insieme sonoro che trasuda compattezza e coesione, in un rimando di soluzioni apparentemente contrastanti ma, ad un esame più attento, perfettamente riconducibili ad un occulto che guarda in modo deciso alla psichedelia più acida di qualche decennio fa. L’album sposa infatti un occultismo macabro che sancisce un legame intimo con la magia nera e con il culto della morte. Un album nerissimo, intenso, denso, che non lascia punti di riferimento, riuscendo a soddisfare palati tra loro – potenzialmente – distanti. Ma non è tutto, Arcane Desert Rituals Vol. 1 si caratterizza anche per il suo saper essere in grado di mostrare sempre gli strumenti perfettamente a fuoco, in grado di esprimere il loro massimo potenziale, mettendolo al servizio della riuscita dei brani.
Per accontentare quelli che cercano sempre di sintetizzare tutto dietro ai generi musicali, noi non troviamo affatto tracce di quello stoner in cui si continua ostinatamente (e forzatamente) volerli inserire. Si tratta di un esercizio di stile (e di pigrizia mentale) che limita il potenziale di una band, in realtà molto più eclettica, capace di dimostrare come si possa essere alieni alle chiusure, ai cliché, ai paraocchi. Il trio mostra di saper stare sempre sul pezzo, riuscendo a mantenere il groove sempre al centro, con una costanza e una dedizione che non calano di intensità nemmeno nei momenti più dilatati, come ad esempio nell’ultimo brano, quello in cui spicca come ospite Jana Maista, dei Mater Infecta, qui in veste di sciamana. Speravamo che i King Potenaz potessero sfornare un album degno del precedente (che avevamo molto apprezzato), ma non avremmo mai pensato potessero realizzare un disco di questa portata.
(Majestic Mountain Records, 2025)
1. Rivers Of Death
2. The Empty Hand pt.1
3. Sabbatum Sanctum
4. Ariadne, The Serpent Witch


