Debutto sulla lunga distanza per i piacentini Kubark, che dopo due EP arrivano all’importante passo di Obedience. Il quartetto – al momento in una fase di stallo – dimostra ancora una volta che la scena italiana ha qualcosa da dimostrare, in particolare nel campo del post-rock a cavallo tra lo sperimentale e le derive più classiche.
Sette tracce che non eccedono mai nel minutaggio ma che si prefiggono l’obiettivo di arrivare al bersaglio, ossia l’emozionalità, cercando di non adagiarsi sui cliché tipici del genere, ma di proporre coraggiosamente qualcosa di alternativo. Per fare ciò la band va controcorrente, mettendo spesso in mostra la sezione ritmica – il basso è pieno e molto in evidenza – come nella opener “Phantom”, mix di alternative rock, melodie delicate e sferragliate chitarristiche. La sei corde non è sempre protagonista ma si inserisce nel sound in maniera soffice, cesellando talvolta melodie eteree (la lenta “Blind Games”) oppure esplodendo in fragorose detonazioni soniche (la quasi post-metal “Find The Cost Of Freedom”) violente, ma dosate con il contagocce. Le vocals sognanti, e le sonorità in generale, ricordano molto i Klimt 1918 (“Bleach”), ma in certi casi la musica si fa aspra e più stridente come nella bizzarra “Song of May”.
In Obedience non vi sono tracce deboli che possano distrarre l’ascoltatore dall’atmosfera. È infatti un album concreto, emozionante, dalla produzione perfetta che valorizza ogni più piccola sfumatura del gruppo nostrano: un disco, insomma, che senza alcun dubbio merita di essere acquistato.
(Autoproduzione, 2015)
1. (Intro)
2. Phantom
3. Bleach
4. Blind Games
5. Find The Cost of Freedom
6. Song of May
7. Obedience Class
8. Shut You Down
7.5