Eccentrici, originali, sperimentali, coraggiosi, geneticamente refrattari a qualsivoglia collocazione troppo rigida sulle metal mappe, non si può certo dire che i Kuolemanlaakso abbiano speso i primi dieci anni della loro carriera cercando una comoda nicchia in cui apparecchiare lavori ad alto tasso di prevedibilità, scegliendo piuttosto di assecondare un’ispirazione evidentemente ad ampio spettro, anche a costo di suscitare più di qualche perplessità alle orecchie di chi, in una carriera artistica, cerca ortodossia e immutabile fedeltà a se stessi.
Partiti nel 2012 all’intersezione delle rotte doom, death e black con l’acclamato Uljas Uusi Maailma (collocato immediatamente da molti in un orizzonte di marca Triptykon complice la presenza dietro le quinte di Victor Bullok “Santura”), il quintetto finlandese aveva subito trovato il modo di spiazzare gli ascoltatori azzardando un inserto tribalistico come “Roihusydän” e, dopo la parziale virata su coordinate doom/death relativamente canoniche del successore Tulijoutsen (senza pearltro rinunciare anche qui a un divertissement del tutto eretico, “Glastonburyn Lehto”, stavolta su movenze jazz/folk), si era ripresentato sulla scena sei anni fa con l’enigmatico M. Laakso – Vol. 1: The Gothic Tapes. In realtà, il titolo stesso rimanda a una genesi dell’album molto particolare, stante la quasi totale assenza del vocalist Mikko Kotamaki, occupato in inderogabili impegni nella casa madre Swallow the Sun e sostituito al microfono da un Markus Laakso in stato di grazia, capace di attraversare l’universo gothic dispensando perle dal retrogusto Type ‘O Negative su cui far cadere una delicata patina di eleganza con il controcanto femminile di Helena Haaparanta. Con simili premesse, non stupisce che l’annunciato, nuovo rilascio fosse atteso con molta curiosità e qualche timore di imprevedibili derive verso lidi ancora più eretici, ma questo Kuusumo, al contrario, segna il ritorno a sonorità più classicamente riconducibili alla scuola doom/death finlandese, senza peraltro dimenticare sostanziosi contributi in arrivo dall’onnipresente lezione mydyingbridiana. Sia chiaro, seguire le orme di Swallow the Sun, Insomnium e Amorphis non fa in nessun modo dei Kuolemanlaakso dei banali cloni seriali che elemosinino spazi all’ombra di augusti modelli altrui, com’è del resto lecito attendersi da una band che ha tagliato ormai il traguardo del decennale di carriera con una line up che ha fatto della stabilità il suo tratto distintivo e con alfieri di prim’ordine. La freccia in più nell’arco del quintetto è l’innata capacità di drammatizzare le trame regalando spesso alle tracce un’attitudine quasi teatrale, per un esito che in diverse occasioni lambisce il registro avantgarde senza mai forzare artificialmente i toni. Giova molto, nel complesso, la scelta di affidarsi a un cantato in lingua madre che, oltre a riportare le lancette del tempo ai lavori degli esordi, aggiunge un tocco di esotismo (almeno per le nostre orecchie abituate ai decisamente più “armonici” eloqui neolatini o anglosassoni) che ammanta di ulteriore mistero un impianto già avvolto da atmosfere poco rassicuranti figlie di un piano di volo che intende descrivere le sciagure che hanno travolto il genere umano alle soglie del Medioevo, quando un’ondata di freddo provocata probabilmente da eruzioni vulcaniche a catena provocò oscuramento del sole, crisi dei raccolti e carestie. Tocca ovviamente a Mikko Kotamaki il compito di evocare distruzione, desolazione e sofferenze e, come sempre, la risposta del vocalist è di primissima qualità, grazie a uno scream tagliente e abrasivo che scuote e travolge le tracce iniettando vapori acidi e una visionarietà allucinata. Se a questo aggiungiamo qualche strappo black che si affaccia a tratti sulla scena, verrebbe da pensare a un platter fortemente sbilanciato su componenti muscolari e telluriche con la velocità a completare un’ideale triade oscura, ma è bene non trascurare le linee melodiche che innervano praticamente tutti i brani, spese sempre opportunamente sia per creare momentanei “occhi del ciclone” che plachino le tempeste, sia per alzare un tasso di magniloquenza che non di rado si aggira tra pathos ed epica. Sette tracce di durata ragionevolmente sostenuta per un ascolto complessivo di poco superiore ai quarantacinque minuti, Kuusumo si apre con i delicati rintocchi di pianoforte dell’opener “Pimeys Laski”, perla teatrale della compagnia che dispone attori su un palco in modalità quasi declamatoria (e consente di apprezzare il lavoro alle tastiere dell’ospite Aleksi Munter, indimenticato protagonista dell’epopea Swallow the Sun fino a alla trilogia di Songs from the North) e insiste sui binari della sperimentazione con la successiva “Katkeruuden Malja”, solcata da linee melodiche vagamente orientaleggianti che esaltano il lavoro in controcanto femminile dell’altra ospite d’eccezione, Lotta Ruutiainen. Terza fermata del viaggio e terzo centro pieno con “Surusta Meri Suolainen”, gran frullato di generi amalgamati senza difficoltà, mentre qualche problema in più emerge con “Kuohuista Tulisten Koskien”, brano in cui i Nostri sembrano stranamente affidarsi al pilota automatico death/doom rinunciando all’abituale ricerca di percorsi alternativi per maneggiare la materia. Si torna però immediatamente in quota con la magnifica “Surun Sinfonia”, che, complice un’andatura cadenzata e cerimoniale, si candida autorevolmente al ruolo di anthem per antonomasia in vista di auspicabilissime rese live, accompagnandoci sulla vetta qualitativa dell’intero platter. Beninteso, la coppia conclusiva non mette in campo una discesa rovinosa, anzi, tutt’altro, perché l’intreccio gothic/black con appena accennati refoli horror di “Pedon Vaisto” e il ritorno dei richiami orientaleggianti (con breve inserto tribalistico annesso) in “Tulessakävelija”, pur senza alzarla ulteriormente, riescono comunque a mantenere alta l’asticella del coinvolgimento, garantendo all’album un approdo sicuro, a fine viaggio.
Ennesima stazione di un percorso che privilegia da sempre dissidenza ed eccentricità tenendo a più che debita distanza qualsiasi rischio di offrire lavori segnati da freddezza, cerebralità o, peggio ancora, compiaciuta autoreferenzialità, Kuusumo ha tutte le carte in regola per catturare l’attenzione di tutti coloro che attraversano il fittissimo sottobosco dei metal sottogeneri senza curarsi di confini più o meno artificiosamente e convenzionalmente tracciati. Ispirazione, qualità e maturità sono fuori discussione e l’impressione è che i Kuolemanlaakso abbiano ancora ampi margini di crescita e miglioramento, in vista dello sbarco definitivo in quella mai troppo popolata fascia di eccellenza che spalanca i cancelli dell’imprescindibilità.
(Svart Records, 2022)
1. Pimeys Laski
2. Katkeruuden Malja
3. Surusta Meri Suolainen
4. Kuohuista Tulisten Koskien
5. Surun Sinfonia
6. Pedon Vaisto
7. Tulessakävelijä