La Morte Viene Dallo Spazio è un progetto che trae ispirazione dall’omonimo film di fantascienza del finire degli anni ’50 rivisitato però in salsa acida, sulla falsa riga delle sperimentazioni lisergiche del decennio seguente. Da qui deriva la totale libertà sonora che caratterizza la musica del quintetto milanese, e che ci porta a pensare che il loro sia realmente un trip da dietilamide dell’acido lisergico. Basta molto poco per essere trascinati in una dimensione in cui la sfera percettiva risulti alterata. Giusto il tempo delle prime note di questo Trivial Visions e siamo già dentro una nuova esperienza sensoriale in cui tempo e spazio perdono di significato.
Sono passati tre anni dal loro primo album, quell’intrigante Sky over Giza del 2018 che li aveva proposti alla ribalta internazionale. Non a caso è proprio all’estero che si sono rivolti per questo secondo album, scegliendo poi alla fine la finlandese Svart Records. Tre anni in cui hanno avuto modo di portare il loro album e la loro idea di musica in giro per l’Europa e al contempo plasmare il nuovo album con la dovuta calma. Il misticismo del primo album viene messo da parte in favore di un nuovo e rinnovato approccio sonoro. Non fraintendetemi però. Non si tratta di una mutazione vera e propria. C’è un filo invisibile che lega i due album e che penso di poter allargare a tutta quanta la loro esistenza, che faccio risalire proprio alla loro necessità di sperimentare soluzioni sempre nuove. Chi ha avuto la fortuna di vederli dal vivo (quando ancora si poteva…) capirà immediatamente a cosa mi riferisco. La dimensione live per La Morte Viene Dallo Spazio è la collocazione migliore per entrare in contatto diretto con il gruppo e lasciarsi trasportare in uno stato emotivo inusuale e privo di riferimenti propriocettivi.
L’album è decisamente più “intenso” rispetto al precedente. Il gruppo ha indirizzato il proprio tiro verso sonorità, arrangiamenti e scelte stilistiche meno immediate e più estreme rispetto ai synth che in Sky over Giza dettavano legge. Segno che la consapevolezza emersa dopo il primo album è andata aumentando. Non a caso infatti la vena sperimentale assume oggi un ruolo ancor più predominante, al punto che alcune parti del disco risultano piacevolmente “spiazzanti”, pur senza perdere di groove e di carica empatica. Idealmente è come collegare la libertà creativa del jazz con la pesantezza monolitica e per certi versi opprimente del krautrock e i suoni del progressive più raffinato. Non mancano neanche riferimenti e richiami esotici e esoterici a sonorità settantiane e mediorientali, come a voler tracciare un solco all’interno del quale pensare di poter collocare concettualmente il progetto. Ma questo è un argomento che solo in sede di eventuale intervista potrà essere approfondito. Per ora questa è solo la mia sensazione da osservatore esterno.
Trivial Visions è sicuramente un album completo e maturo sotto tutti i punti di vista. Un album che esce dalla normale idea di collocazione temporale di un disco grazie alla sua connotazione ipnotica marcatissima che riesce a sovrapporre soluzione e dimensioni sonore tra loro apparentemente slegate con grande naturalezza. Non è semplice raccontare un album come questo senza scomodare paragoni con il passato e di conseguenza snocciolare elenchi di gruppi/dischi più o meno conosciuti o epocali, ma noi ci proviamo lo stesso, per cui nessun riferimento a ciò che è stato ma solo attenzione e focus su ciò che potrà essere in futuro il percorso della band.
(Svart Recors, 2021)
1. Lost Horizons
2. Trivial Visions
3. Cursed Invader
4. Oracolo della Morte
5. Ashes
6. Spectrometer
7. Absolute Abyss
8. Altered States