La vena aurea del post metal strumentale pare inesauribile e la seconda fatica dei Labirinto è qui per ribadircelo. Rilasciato a settembre dello scorso anno in patria dall’etichetta Dissenso Records, Gehenna viene ora distribuito in territorio europeo dalla Pelagic Records, che pare avere un ottimo intuito per band di spessore.
Dopo innumerevoli EP (tra i quali spicca quello con Thisquietarmy) e un primo disco caratterizzato da trame acustiche e inserti di violini e violoncelli, i brasiliani cambiano direzione in maniera piuttosto drastica. Il suono delle chitarre diventa saturo e distorto, mentre gli arrangiamenti mutano da ariosi a claustrofobici. Bastano le note iniziai di “Mal Sacré” per capire come le strutture si siano irrobustite: i Labirinto mettono da parte le aperture melodiche per macinare potenti riff. Il lavoro di stratificazione è ora legato alle chitarre e ai synth, che nei momenti più ambient esprimono il meglio (“Qumran”). L’incedere maestoso dei brani rimanda l’ascoltatore a paesaggi tetri, che paiono ben distanti dalle assolate terre brasiliane. Un umore più mitteleuropeo pervade il disco; se dovessimo fare un riferimento a gruppi affini, i primi sarebbero gli Year Of No Light. Parlavamo delle tessiture e delle stratificazioni: la chiusura della titletrack è l’apice dell’album. Chitarre maestose avanzano con compattezza accompagnate da ritmiche possenti. Non c’è spazio per accelerazioni negli oltre settanta minuti di Gehenna, tutto si svolge in un continuum colmo di solenne drammaticità.
Il secondo lavoro dei Labirinto richiede tempo per essere assimilato. Sedetevi, spegnete le luci e partite per il viaggio.
(Pelagic Records, Dissenso Records, 2017)1. Mal Sacré2. Enoch3. Qumran4. Aung Suu5. Locrus6. Avernus7. Aludra8. Alamut9. Q’yth-el10. Gehenna