“Chi torna da un viaggio non è mai la stessa persona che è partita”… Filosofi, psicologi, compilatori di aforismi da cioccolatini o pagine social, redattori di pagine che magnificano paradisi turistici, non passa giorno che la mistica del viaggio non si arricchisca di nuovi contributi, nell’eterno dilemma se la spinta decisiva per una partenza nasconda il desiderio di perdersi o, piuttosto, quello di trovarsi e con la quasi certezza che la scelta della meta sia solo il dettaglio individuale di un’aspirazione in cui riconoscersi collettivamente. Corollario inevitabile di un cotale corredo di riflessioni sul tema è che, a fine percorso, il viaggiatore rischia di perdere quei tratti di riconoscibilità che aveva maturato in precedenza, esponendosi a un’inevitabile tempesta di confronti e giudizi sulle sopraggiunte novità.
Riassunto per sommi capi, è ciò che è capitato a un quintetto danese che, dopo l’omonimo debutto sul pianeta indie-rock (che non lasciava per la verità presagire sviluppi fragorosamente dirompenti), ha deciso di imbarcarsi su una navicella spaziale lanciandosi alla scoperta degli spazi siderali. Loro sono i Late Night Venture e, a partire già da Pioneers of Spaceflight ma con miglior esito nel successivo Tychonians, hanno saputo ritagliarsi buoni frammenti di visibilità in una scena contraddistinta da afflati cosmic e psichedelici innestati su una base post rock largamente debitrice della lezione Mogwai, Sigur Rós o Explosions in the Sky, privilegiando dunque le potenzialità “descrittive” del genere in modalità affresco malinconico/sognante degli incorporei che ci circondano. L’apparente linearità del processo, peraltro, era stata messa in parziale discussione da alcuni passaggi di Tychonians, dove un’improvvisa cura per trame e strutture (l’ottima “Moon Shone on White Rock” e la appena meno convincente “Halo Orbit” riassumono alla perfezione il concetto) aveva segnalato la potenziale molteplicità degli approdi per la band, qualora avesse deciso di cimentarsi in un habitat almeno parzialmente modificato. E la conferma, clamorosa, arriva con questo Subcosmos, formalmente terzo e conclusivo capitolo di una “trilogia cosmica” ma alla prova dei fatti convinta sterzata verso il post metal, in cui i Nostri sfoderano una sorprendente prova di forza candidandosi a un ruolo tutt’altro che secondario, nei consuntivi di fine anno di ormai prossima compilazione. Oltrepassando la dimensione contemplativa e quella scientifica delle prime due tappe, i Late Night Venture ritornano sul suolo terrestre con occhio disincantato, posando lo sguardo sulla miseria della vista dal basso di un cielo in realtà ridotto a scampoli di orizzonte, a cui siamo condannati dai nostri deliri di onnipotenza. Quello che ci spetta come ineluttabile destino, allora, è proprio il “sottocosmo” richiamato dal titolo e perfettamente raffigurato nell’artwork di una cover che, nella sua quasi geometrica semplicità, rimanda plasticamente al senso di alienazione a cui hanno finito per tendere tutti gli umani progetti che si sono illusi di creare i presupposti di un mondo ideale. In quest’ottica, fin dai tempi della Torre di Babele architettura e urbanistica si sono incaricate di materializzare le conseguenze degli incubi distopici generati dalla cieca rincorsa a modelli di perfezione disegnati a tavolino e, nella circostanza, tocca alla periferia di Copenaghen incarnare il ruolo di macchina dell’inquietudine. Qui il quartiere di Hoeje Taastrup (uno dei simboli dello sviluppo economico danese degli anni ‘60), lungi dall’esaltare un fiero senso di appartenenza, diventa paradigma del peso esercitato dal luogo di nascita sullo sviluppo dei singoli individui, limitandone senza scampo il perimetro delle potenzialità. Al quartiere, identificato con il numero di codice postale “2630”, è dedicata la traccia del platter a più alto dosaggio di suggestioni avantgarde (i norvegesi Vulture Industries sono più di un’ombra fugace, sullo sfondo), ma la vera rottura col passato si consuma nella coppia di avvio “Far from the Light/Bloodline”, dove il quintetto non ha paura di cimentarsi coi canoni della lezione Cult of Luna e Isis uscendo largamente vincitore da una sfida a così alto rischio. Per una band che finora aveva fatto della strumentalità quasi assoluta la propria bandiera, colpisce innanzitutto positivamente il ruolo riservato al cantato (davvero ottima la prova in scream della coppia d’ugole Hartvig/Falk, impeccabile nell’aggiungere riflessi sinistri alle atmosfere), ma va sottolineata anche una capacità non ordinaria di edificare imponenti monoliti circondati da un’aura solenne, oscura e contemporaneamente allucinata, segno evidente di una frequentazione con gran profitto delle lezioni impartite a Umea dalla premiata ditta Magnus Lindberg e soci. Rispetto alla pirotecnica triade di apertura, il trittico conclusivo è forse meno efficace in termini di visionarietà e rapimento estatico (soprattutto la titletrack fa segnare qualche passaggio a vuoto), ma vanno sicuramente segnalati almeno i riusciti inserti doom che impreziosiscono “No One Fought You” e, ancora di più, l’”attitudine cinematografica” di “No Burning Ground”, che strappa applausi per i suoi fremiti electro incastonati in un trascinante corpo centrale dove una voce narrante dal timbro rocamente marklaneganiano disegna un suggestivo alone di mistero, prima che un grande assolo dal sapore psichedelicamente seventies chiuda definitivamente il sipario.
Denso, profondo e potente ma parimenti a suo agio quando si tratti di attraversare orizzonti eterei o di descrivere il lato oscuro dell’animo umano alle prese con claustrofobie e spettralità figlie della precaria collocazione della nostra specie sulla scala degli infiniti, Subcosmos è un album con tutte le carte in regola per diventare il momento di svolta decisivo per la carriera di una band. Hanno dovuto viaggiare musicalmente e mettersi in discussione prima di individuare il linguaggio più affine alla loro ispirazione, ma questi Late Night Venture lo meritano davvero, un posto a un tavolo del post metal galà d’onore del 2019.
(2019, Czar of Crickets Productions)
1. Far from the Light
2. Bloodline
3. 2630
4. Desolate Shelter
5. Subcosmos
6. No One Fought You
7. No Burning Ground