Forse qualche impavido (o pazzo) si sarà avventurato nel precedente EP del collettivo francese Le Grand Sbam che poneva l’accento sulla pura sperimentazione e dove la numerosa compagine di musicisti andava incontro alla totale follia strumentale. Tale opera fu quindi decisamente tosta e con questo primo album chiamato Furvent non c’è la minima idea di frenare la corsa, ma anzi di renderla ancora più impervia. Le undici tracce del disco (che in qualche modo sono legate da una sorta di concept ispirato da un racconto di Alain Damasio) mescolano una marea di elementi ed è difficilissimo dargli una direzione precisa.
Coerenti fino in fondo con le loro teorie anti-commerciali, i francesi sparano subito una cannonata infuocata di quasi venti minuti con l’opener “La Trace” un allucinato viaggio tra cori schizzatissimi, un pianoforte sotto anfetamine ed una tentacolare batteria lanciata a tutta velocità che pare quasi estranea con le sue ritmiche ai limiti del sensato; naturalmente durante l’ascolto entrano ed escono vari elementi come inserti atmosferici, parti jazz, elettronica e pure pennellate psichedeliche ma senza che la componente teatrale/libertina venga mai meno. Da qui in poi c’è una sorta di suite probabilmente non voluta che inizia/finisce con “Nephesh” (con un binomio folle a base di cori e piano) e “Choon Choon” (che pare messa lì quasi per prendere in giro l’ascoltatore dato che è la più leggera del lotto). Nel mezzo ci sono numerose tracce stranissime e che metteranno a dura prova gli ascoltatori più tenaci dimostrando ancora una volta che la musica di Le Grand Sbam non è esattamente per tutti. C’è il math rock pieno di vocals fuori di testa (“K’ouen (la terre)”), ci sono ritmiche stranissime “Touei (le lac)” oppure episodi più distruttivi e rocciosi (la pestata “K’ien (le ciel)” o l’esplosiva “Ken (la montagne)”) ma in casi come questi bisogna mettersi di impegno e dedicare molto tempo ad ogni traccia dato che non ci sono particolari schemi a presa rapida ed il mostruoso impiego di svariati strumenti (moog, tromboni, piano, elettronica, mellotron, gong…) non fa altro che consolidare lo status avant-garde della band. Più che un album a sé pare la naturale continuazione del precedente EP, in cui convivono tecnica e sperimentazione con una capacità sicuramente invidiabile. Un plauso per aver lasciato fuori la chitarra, strumento di cui spesso si fa abuso.
In un panorama musicale sempre più statico e spento fa piacere emergano progetti come questo e che, anche se difficilissimo da digerire, l’arte sia sempre al primo posto piuttosto che il mero aspetto commerciale. Amatelo o odiatelo, l’importante è comunque ascoltarlo!
(Dur et Doux, 2020)
1. La trace
2. Nephèsh
3. Yi Yin I Tchen (Le tonnerre)
4. Yi Yin I Souen (Le vent)
5. Yi Yin I Li (Le feu)
6. Yi Yin I K’ouen (La terre)
7. Yi Yin I Touei (Le lac)
8. Yi Yin I K’ien (Le ciel)
9. Yi Yin I Kan (L’eau)
10. Yi Yin I Ken (La montagne)
11. Choon Choon