I Liverache Corporation sono un nuovissimo progetto proveniente dalla Puglia. Nuovo il progetto, che è nato sul finire del 2018, non certo la line-up, che si fa da tempo le ossa in diverse realtà musicali alternative. Discomfort è il loro album d’esordio, uscito autoprodotto a metà maggio.
Ad accoglierci troviamo un album vario nella scrittura, gradevole, in cui ogni brano ha il proprio carattere nonostante in tutti sia evidente lo stesso marchio di fabbrica. Che è un trionfo di tensione e vibrazioni nineties, un tributo a delle radici che sempre più spesso ormai custodiamo in qualche ricordo sgualcito ma che qui vengono filtrate, riassemblate e aggiornate in maniera tale che i Liverache Corporation non diano l’impressione di essere impolverati cloni fuori tempo massimo. Tutt’altro. Il loro alternative, chiamiamolo solo così per comodità, si nutre delle mazzate à là Melvins, che danno il benvenuto in apertura, ci sono riff sabbiosi più stoner – Kyuss su tutti ma anche QOTSA (vedi “Faded Sun” brano che aveva anticipato l’uscita dell’album) – ma è uno stoner nervoso, rapido, non intorpidito, con la luce negli occhi. Ci sono brani e momenti più sanguigni e movimentati, che non sono hardcore stricto sensu ma che hanno ben in mente gente come i Poison Idea. Ci sono dentro tantissimi Soundgarden oppure certe vibrazioni di voce che fanno pensare a Patton ed ai Faith No More. E ancora “Pilgrimage to Chernobyl” svela pure, tra suggestivi lamenti di chitarra, un basso succosissimo, momenti aggressivi e veloci, un certo amore per i primi Tool. Grunge, alternative, hardcore e post-hardcore, stoner e sludge. Ecco, tutta questa roba fa parte del loro DNA e diventa grammatica del loro linguaggio, una sorta di esperanto in cui ogni dettaglio è funzionale all’obiettivo di fondo: la cura per la scrittura della canzone, cosa rara di questi tempi. I Liverache non puntano tanto su una struttura complessa e imprevedibile, non più di quanto gli occorra comunque, ma sull’evidenza, l’impatto, la chiarezza, la memorabilità. D’altro canto parliamo di un album cantato e la voce e le melodie sono necessariamente protagoniste. Per cui o le fai bene o lasci perdere. Qui se la cavano egregiamente, tanto per interpretazione quanto per variazioni timbriche e costruzione di melodie, rivelando un bel carattere ed un evidente bagaglio di esperienze alle spalle. E questo per un album alternative è importante.
I Liverache Corporation superano a vele spiegate la prova del primo album con un lavoro ricco di spunti, scritto con passione e zelo, che ti rimane in testa. Cresceranno ancora, c’è da aspettarselo – sebbene questa scena in Italia non goda di buona salute nell’underground – intanto chi ama queste robe troverà in Discomfort un album a cui appassionarsi.
(Autoproduzione, 2020)
01. Skin Frame
02. Losing Weight
03. Pearl
04. Faded Sun
05. Ashes
06. Pilgrimage to Chernobyl
07. Throw me Out
08. Sharks
09. The Storm Is in a Room
10. Pigs with Ties