Ispirazione, idee, classe, voglia di sperimentare, capacità di maneggiare diversi registri sonori e una carriera ultratrentennale… se mai esistesse un manuale consultabile non diciamo per una garanzia di successo planetario ma anche solo per una meritata visibilità, probabilmente sarebbero questi, i titoli dei capitoli più importanti e significativi, a patto però di premettere a qualsiasi riflessione un proverbiale “salvo eccezioni” o un più prosaico “a volte però potrebbe non bastare”.
Si spiega solo così, con un misto di inspiegabilità di fondo e probabili coincidenze negative, il relativo silenzio che ha accompagnato la traiettoria artistica di una band che, per qualità e originalità, avrebbe al contrario meritato di attirare su di sé luci e riflettori in modalità tripudio. Stiamo parlando dei norvegesi Madder Mortem, che, protagonisti di un debutto già clamoroso in territori gothic/doom con il magnifico Mercury, hanno in seguito parzialmente modificato la propria rotta artistica, approdando su lidi prog mai peraltro cerebralmente autoreferenziali e mantenendo sempre alto il tasso di potabilità dell’insieme, complice un raffinato gusto avantgarde che ha agevolato la preparazione di caleidoscopici cocktail sonori in cui far confluire suggestioni in arrivo dai metal quadranti più disparati. Li avevamo lasciati, nel 2018, alle prese con il loro lavoro forse meno coraggioso e ispirato, Marrow (con l’avvertenza che si parla comunque di un album tutt’altro che disprezzabile), ma tutti coloro che avessero eventualmente colto in quel cimento e nel prolungato, successivo silenzio i segni di un declino del quintetto, possono tirare un sospiro di sollievo: questo Old Eyes, New Heart non tradisce le attese e riporta la band sui livelli di eccellenza che le competono, a questo punto osiamo dire “geneticamente”. A stupire, ancora una volta, è la straordinaria capacità dei Nostri di distillare pozioni dall’aspetto accattivante e dal gusto spesso al confine con l’easy listening, mantenendo però sempre ben salda la barra dell’ispirazione, ad impedire derive e lusinghe ruffiane. Se, allora, l’impronta melodica è la cifra stilistica che caratterizza indubbiamente tutte le tracce, è altrettanto vero che in ogni episodio i Madder Mortem dispensano a piene mani dosaggi diversi degli ingredienti, cambi di fondale e una cura per i dettagli attenta ma mai a discapito del coinvolgimento emotivo. Al centro della scena, neanche a dirlo, si staglia la consueta prova monumentale di Agnete Mangnes Kirkevaag al microfono: che si tratti di colpire, graffiare, accompagnare o cullare i viandanti il risultato non cambia, dal suo arco scocca sempre la freccia giusta per il centro del bersaglio, confermando che siamo al cospetto di un’autentica fuoriclasse dell’ugola, purtroppo citata di rado tra le regine del metal declinato al femminile. Intorno a lei, il resto della compagnia si muove come un ingranaggio impeccabilmente oliato, a cominciare dal fratello Birger Petter (con nota di merito aggiuntiva per le ben assestate incursioni vocali in scream) e da Anders Langberg alle sei corde, passando per il basso di Tormod Langøien Moseng e approdando infine alle pelli, che Mads Solås percuote con precisione certosina in tutti gli innumerevoli paesaggi sonori attraversati. Dieci tracce per poco meno di cinquanta minuti di ascolto complessivo, Old Eyes, New Heart si apre con il gioco di onde burrascosamente imponenti della muscolare e a tratti epicamente solenne “Coming From The Dark”, probabile vertice prog del lotto con i suoi cambi di tempo e gli intrecci vocali elaborati, ma il barometro segna subito “imprevedibilità” con l’incantevole “On Guard”, brano dalla doppia anima blues, contemporaneamente notturna e solare, che lascia fino in fondo il dubbio se sia stato concepito sotto le magiche luci di un’aurora boreale o all’ombra di un riparo improvvisato in qualche deserto dell’Arizona. L’ottovolante del ritmo riparte subito con la potente “Master Tongue”, che innalza strutture monolitiche scalfite da riff fulminanti, per poi abbassare sia pur di poco i giri motore con gli spunti alternative metal della radiofonica “The Head That Wears The Crown”. A questo punto c’è bisogno di una sosta e i Madder Mortem decidono con “Cold Hard Rain” di calare un asso importante e allo stesso tempo impegnativo, scegliendo di inerpicarsi su sentieri doom/rock già abbondantemente battuti, ma il risultato non lascia spazio a dubbi, anche al cospetto di mostri sacri del calibro degli Avatarium i norvegesi superano la prova alla grandissima (e applausi a lady Kirkevaag qui in modalità interprete pura). A certificare che le sorprese sono pur sempre dietro l’angolo provvedono gli accenni electro e vagamente orientaleggianti di “Unity”, mentre il singolo scelto per il lancio del platter, “Towers” si candida autorevolmente a solleticare con buone possibilità di successo i palati tooliani più disposti ad accettare esiti melodici. Se, al netto di un comunque apprezzabile afflato cantautorale, “Here And Now” fatica un po’ a decollare, la coppia che chiude il viaggio è al di sopra di ogni sospetto, a cominciare dalle spire gothic/doom che avvolgono una “Things I’ll Never Do”, peraltro abbondantemente sbilanciata sul versante teatrale a garantire un consistente contributo alla causa avantgarde, per finire con i toni minimalisti e quasi malinconici di una ballad come “Long Road”, opportuna colonna sonora di un placido approdo dopo gli spettacoli multicolori dispensati in precedenza.
Elegante e raffinato ma allo stesso tempo capace di assestare colpi potenti e con qualche passaggio finanche appuntito ed acuminato, sorretto da trame elaborate che non ostacolano mai, ma, anzi, incrementano la fruibilità dell’insieme, Old Eyes, New Heart è l’ennesimo gioiello di una corona che merita di essere ammirata strappando finalmente il velo opaco che ne ha finora misteriosamente impedito trionfi dovuti quanto meritati. L’astronave Madder Mortem è decollata per il suo ottavo viaggio, è ora di leggere “sold out” all’imbarco.
(Dark Essence Records, 2024)
1. Coming From The Dark
2. On Guard
3. Master Tongue
4. The Head That Wears The Crown
5. Cold Hard Rain
6. Unity
7. Towers
8. Here And Now
9. Things I’ll Never Do
10. Long Road