I Malnàtt sono uno di quei gruppi dai quali, al momento di una nuova uscita discografica, puoi aspettarti davvero di tutto. Negli anni, infatti, la band bolognese è passata dal black / folk metal dialettale degli esordi al black melodico e “poetico” degli ultimi due album, fino ad inaugurare un nuovo capitolo sonoro con questo Swinesong. Il solo fil rouge nella discografia della band sembra essere la grande dose di ironia e spirito dissacrante, che in quest’ultimo lavoro trovano spazio più che mai. Il leader e factotum Porz per l’occasione modifica la formazione per 2/4, avvalendosi della collaborazione del bassista Gumira e del chitarrista Mort (alias Simone Lanzoni, già impegnato in veste di cantante/chitarrista in Mors Tua ed Eva Can’t e di cantante negli In Tormentata Quiete), nonché del leggendario Agghiastru, mastermind degli Inchiuvatu e di una miriade di progetti underground, in veste di guest vocalist su alcune tracce. Con un titolo che fa il verso ai Carcass e con grafiche e copertina di ispirazione futurista, l’ultimo lavoro dei bolognesi è stato presentato come un disco che avrebbe celebrato i quindici anni di attività della band, con quindici tracce dedicate ai rispettivi tatuaggi di Porz.
Swinesong ha bisogno di un numero consistente di ascolti per essere compreso in toto, non perché sia particolarmente complesso, ma in virtù della sua estrema poliedricità. Come il solido geometrico, l’album può essere osservato da diversi lati: lo si può ascoltare nella sua interezza cercando il filo conduttore tra i brani, o prestando attenzione alle istrioniche parti musicali, o analizzando le diverse tematiche affrontate, o ancora sezionando i testi per scoprire la miriade di giochi linguistici, citazioni, calembour disseminati qua è là. Più che in altri lavori, è essenziale tenere d’occhio tutte le facce di questo poliedro.
Dal punto di vista musicale, la band ha definito il proprio sound come “Dark Funeral e Ulver che incontrano Massimo Volume e Il Teatro Degli Orrori”, e nella sua stranezza la definizione appare effettivamente calzante. Porz ha quasi del tutto abbandonato il cantato estremo a favore di un recitato solenne che non può non ricordare Pierpaolo Capovilla, e il tessuto sonoro creato dalla band è composto da melodie epiche che sembrano realmente provenire da qualche demo di Bergtatt. Non manca anche qualche elemento atipico, come la tromba de “La Lancetta Di Longino”,un brano acustico (“Sol”), o un inspiegabile intermezzo EBM (“Teschio”). Per comodità i Malnàtt si potrebbero definire oggi avant-garde metal, ma in realtà siamo di fronte a qualcosa di totalmente nuovo, che ha legami con il passato, ma che allo stesso tempo è capace di reinterpretare quel passato arrivando ad essere credibile e convincente al 100%.
Dal punto di vista delle tematiche affrontate, sembra quasi che dopo un periodo “serio” Porz non sia riuscito a contenere la propria indole irriverente, manifestandola violentemente con liriche abrasive. Non è risparmiata né la classe politica (“Piramide”, “Vota Chtulu”) né l’italiano medio (“L’Occhio Sinistro Di Odino”), ma c’è anche spazio per profonde riflessioni, espresse sia con toni poetici (“Huginn & Muninn”) che con una schiettezza che rimanda a certo hardcore (“La Lancetta Di Longino”), o ancora con la malinconica presa di coscienza di “Terra Cava”, unico brano del lotto a superare i quattro minuti, che sembra la naturale conseguenza di “Manifesto Nichilista” dal disco precedente (Principia Discordia, 2012).
Qualunque sia l’argomento della canzone, l’impressione è che linguisticamente e stilisticamente nulla sia lasciato al caso. Gettando un rapido sguardo alla tracklist è facile notare i parecchi riferimenti alla mitologia norrena, che spesso servono come input per parlare d’altro, come in “Sleipnir, Il Progresso”, in cui il destriero di Odino è metafora della modernità e della tecnologia, in una narrazione simil-futurista. C’è spazio anche per delle improbabili citazioni (come quella di Gino Paoli in “Min8auro”) o per degli espedienti inusuali come il tautogramma di “Jormungand, l’Euroboro”, in cui ogni parola del testo inizia con la lettera A.
Dovendo cercare il pelo nell’uovo, ci sarebbe da evidenziare che la produzione del disco appare deficitaria e un po’ confusa rispetto al passato (in particolare alle due uscite precedenti), e che il guitarwork di Mort, sebbene variegato e di ottima fattura, è troppo somigliante a quello della sua band principale, gli Eva Can’t.
Certo è che parlare di album del genere in poche righe non può essere né semplice né esaustivo. Allo stesso modo non può essere esaustivo un voto numerico o un giudizio personale, specialmente considerando che i Malnàtt hanno una propria filosofia ben definita e si pongono in maniera del tutto diversa dalla stragrande maggioranza dei colleghi. Sicuramente siamo di fronte ad una band che ha realmente qualcosa da dire: merce rara di questi tempi.
8.0
(Il Male Production, 2015)
1. Discordia
2. Min8auro
3. Sleipnir, il Progresso
4. Yggdrasil 3-1-9
5. Jormungand, l’Euroboro
6. Mjöllnir
7. Huginn & Muninn
8. La Lancetta di Longino
9. Piramide
10. Teschio
11. L’Occhio Sinistro di Odino
12. Il Sigillo del Gastronomicon
13. Terra Cava
14. Sol
15. Vota Cthulhu