Non può esserci Pasquetta senza che ci sia il Maximum Festival (organizzato dall’etichetta veneta Go Down Records), un binomio inscindibile che anche nel 2024 ritorna per tutti gli amanti del buon vecchio rock’n’roll ma non solo. Che si sia devoti allo stoner rock, alla psichedelia, al grunge, al garage rock o alle derive più moderne ci sarà sempre qualcosa che possa attirare un appassionato di musica con un gran spirito di aggregazione e tanto calore.
Quest’anno si è deciso di cambiare la formula. Questa giornata sarà la “Premiere”, il party di anteprima, dato che il festival riprenderà verso fine aprile con una manciata di corpose giornate che vedranno ospiti act come Bongzilla, Kadabra ed Alain Johannes.
Il tempo purtroppo è stato poco clemente durante i giorni precedenti e nella mattinata stessa, martellando a suon di pioggia la maggior parte del Veneto. Fortunatamente con l’avvicinarsi dell’inizio delle esibizioni la situazione è migliorata, ma si è dovuto rinunciare all’utilizzo del palco esterno grande sfruttando il nuovo palco coperto e quello più piccolo all’interno del locale (la trattoria Altroquando situata a Zero Branco, in provincia di Treviso). L’organizzazione è stata super efficiente e tutta la manifestazione si è svolta nel migliore dei modi.
Il sottoscritto non era in forma arrivando da oltre una settimana di influenza, febbre, dolori vari e stanchezza ma nonostante tutto ha cercato di presenziare in qualche modo all’evento. Causa qualche intoppo si perde la prima band che si sarebbe esibita ovvero i No More Head Trips (post-thrash metal da Castelfranco Veneto). Tempo di chiacchierare con i conoscenti che inizia la band successiva.
I trevigiani Saturn Black Kings (che vedono in formazione due ex-Douge) salgono sul palco con una formazione rimaneggiata rispetto all’ultima volta che li vidi live e ciò probabilmente ha permesso al quintetto di trovare una maggiore compattezza. Lo stoner rock di matrice Kyuss del combo viene mescolato con altre influenze (grunge, doom e psichedelia) creando un interessante ibrido sonoro. La band è ancora agli esordi senza nessuna pubblicazione effettiva, ma si notano comunque i miglioramenti. Show energico, compatto e che ha lasciato ottime impressioni agli spettatori. Causa sforamento dei tempi la scaletta viene tagliata ma permette di ascoltare un nuovo brano in anteprima che fa ben sperare per il futuro.
Seguono i The Magogas freschi freschi di album di debutto (fra non molto verranno recensiti su queste pagine), trio veneto strumentale che vede fra le proprie fila la batterista dei T.H.U.M.B. (presumibilmente sciolti). Chi scrive li aveva già visti in altre occasioni e le impressioni sono comunque rimaste le stesse. Il loro mix fra stoner rock iper compresso, sprazzi metallici, intermezzi psichedelici e soprattutto tanta tecnica dal vivo ha un ottimo potenziale, ma dopo alcuni brani si rischia di finire in un loop ripetitivo dove si fatica a distinguere le tracce l’una dall’altra. Il trio dal vivo è sicuramente una macchina da guerra dimenticandosi però di agire un po’ meno di testa e più di cuore. C’è da lavorarci su. In ogni caso il pubblico ha ampiamente gradito la performance.
Tocca poi ai Cuore Matto da Montebelluna, acidissimo trio punk/garage rock con testi in italiano. Lo show è letteralmente furibondo, sporco e grezzo, ricordando molto quella scalcinata band del film Margini prodotta dai Manetti Bros (che si invita a vedere assolutamente). Il muro di suono è potente, sgangherato e volutamente ignorante e viene infarcito anche di influenze blues ed ovviamente il rock sessantiano. I pezzi sono brevi, fulminanti e funzionano decisamente bene grazie all’unione di un certo mood vintage, atteggiamenti rumoristi e tanta energia sfrontata che spesso manca nei live show. Una bella scoperta che si invita a seguire sia che si ami il punk ma che soprattutto non lo si ami.
Si prosegue a rotta di collo senza pause con gli Hijss, trio del nord Italia, anch’essi con un album di debutto uscito da non molto sotto l’etichetta Heavy Psych Sounds. Stavolta ci si concentra sull’heavy psichedelia che comunque non manca di intrecciarsi allo stoner rock o al rock alternativo. Le vocals sono filtrate e cosmiche e sono più un accompagnamento ai trip spaziali che la band propone. Se da un lato la performance si è presentata buona, dall’altro si sente che qualcosa si inceppa nella scrittura. Alcuni brani faticano a decollare risultando troppo scontati e mascherati da muri di suono esagerati mentre altri sono davvero delle piccole gemme piene di dettagli da scoprire. È un esibizione che mostra una band forte sul lato tecnico ma non ancora definita su quello compositivo che ha delle pecche da risolvere. Siamo comunque agli inizi e come per i colleghi come i The Magogas, il tempo c’è per migliorare.
Si cambia rotta con un’altra vecchia conoscenza del festival, gli A Forest Mighty Black da Vicenza. Da parecchio la band grunge non fa uscire il seguito dell’ultimo lavoro in studio (se non erro datato 2018) però fa piacere constatare che il livello della band è generalmente migliorato. Le vocals sono belle piene e la controparte strumentale è affiatata e corazzata al punto giusto. Lo show combina al meglio la fumosità stoner rock con la controparte più melodica del grunge. Si spera ritornino presto con un nuovo disco.
Tempo di una pausa veloce per cenare che ci si prepara allo show dei Virtual Time da Bassano del Grappa, band attiva da parecchi anni che attinge a piene mani dagli anni Settanta. Seppure le influenze siano decisamente percepibili nel sound del quartetto, la sensazione di déjà vu non è mai troppo opprimente. Motore trainante è la voce del bravissimo Filippo Lorenzo Mocellin ben sorretto dagli altri musicisti. Nella musica dei Virtual Time ci si può trovare di tutto, dall’hard rock dei Led Zeppelin, al blues, al country ma anche al funky e la prestazione di stasera mostra una band ancora in forma e che si spera continui così.
Nel palco principale è ora dello show di Giovanni “Urlo” Rossi, bassista/tastierista degli Ufomammut, nel suo progetto solista denominato The Mon che si distanzia parecchio dal doom/post-metal psichedelico della sua band principale per abbracciare una componente più evocativa ed atmosferica, più minimale e scheletrica. Viene privilegiato il disco Eye sfoderando una performance molto intimista che abbraccia sia un certo neofolk alla Steve Von Till, sia l’elettronica che il cantautorato. Non a tutti lo show è piaciuto per uno stile molto differente da ciò che veniva proposto dagli Ufomammut. Eppure quel loop libidinoso che usciva dalle casse creava una certa dipendenza. L’esibizione più particolare del Maximum Festival e forse anche la migliore.
Ci si avvicina alla fine. Stavolta tocca ai pugliesi Anuseye e si ritorna sui lidi dell’heavy psych. Il quartetto esce un po’ dagli schemi e sciorina una prestazione diversa dal solito puntando meno sull’irruenza o sulla psichedelia per un sound più personale. Purtroppo la stanchezza era sempre più opprimente ed il sottoscritto faticava a stare in piedi. In ogni caso gli Anuseye dimostrano di avere le carte in regola per differenziarsi dalla massa grazie ad un livello compositivo acuto ed una tecnica sopraffina che si integra perfettamente alle loro idee musicali.
Ecco salire sul palco i primi ospiti stranieri ovvero gli americani Love Gang che si presentano con tanto di striscione sul palco. Il quartetto è artefice di un southern rock/blues energico e dalle melodie molto accese. Se su disco il risultato è piacevole, dal vivo le cose cambiano. I pezzi sanno troppo di già sentito e di per sé non sarebbe un problema, dato che nel genere è difficile staccarsi del tutto dai grandi del passato. Eppure quella sensazione di déjà vu appare alquanto fastidiosa facendo perdere l’entusiasmo iniziale nonostante il gruppo si dia da fare parecchio per avere il consenso del pubblico che puntualmente lo acclama. Resta comunque un pizzico di amaro in bocca.
Oramai stremato e mezzo malaticcio riesco a resistere per vedere almeno una parte dello show dei tedeschi Vibravoid, gli headliner del festival (già passati comunque diverse volte da queste parti). Il trio, formatosi nel 1997, dà una copiosa lezione su come suonare rock psichedelico e lo fa ispirandosi ai primi Pink Floyd come agli Spacemen 3 con una totale devozione all’epoca d’oro del genere. Suoni dilatati, trip lisergici, asprezza garage ed un certo romanticismo derivante dal rock progressivo. Purtroppo sono costretto ad abbandonare dopo alcuni brani ma lo show si presenta comunque sentito ed il numeroso pubblico riempie la saletta di applausi e urla di incitamento.
Un grazie, come sempre, a Go Down Records, Trattoria Altroquando e Trivel Collective! Ci si rivede il prossimo anno!