Il Maximum Festival arriva all’undicesima edizione ed il sottoscritto, come tutti gli appassionati della zona, non poteva mancare all’appuntamento di Pasquetta. Come ogni anno, l’evento si svolge all’Altroquando di Zerobranco (Treviso) e viene organizzato dall’etichetta nostrana GoDown Records, label che si occupa prevalentemente di stoner/garage ma che si prodiga anche nel rock’n’roll e nella psichedelia. Il festival quindi propone da sempre una ricca selezione di band sia nazionali che internazionali e nel corso delle svariate edizioni passate ha visto un susseguirsi di artisti sempre preposti alla musica originale e mai alle cover/tributi.
Maximum Festival
Altroquando, Sant’Alberto di Zerobranco (Treviso)
02/04/2018
Come di consueto i concerti iniziano subito poco dopo pranzo quindi arrivo per tempo per assistere a tutti gli show. Il pubblico è già di un numero considerevole (che aumenterà nel corso della giornata) e non mancano incontri piacevoli per chiacchierare di musica con conoscenti, pranzare o anche giocare a carte. Il locale è quasi una casa per molti e fa piacere vedere famiglie ed amici che desiderano passare la giornata in relax e compagnia. Tempo di bere qualcosa che inizia la prima band.
I trevigiani Rudhen danno il via alle danze sul palco del Maximum Festival. Freschi di pubblicazione dell’album di esordio (dopo un paio di EP) Di(o)scuro, i quattro musicisti si presentano al pubblico in veste diversa, in quanto nel corso degli anni lo stoner del gruppo si è continuamente evoluto. Il sound si è fatto più massiccio e duro lasciando da parte sia la parte più scanzonata degli inizi, sia le derive più psichedeliche arrivate dopo per dedicarsi ad un approccio molto cupo ed orientato al doom. Il concerto è quadrato e pesante e tutte le tracce suonate risentono del nuovo corso musicale intrapreso essendo rimaneggiate in veste più nera ed impenetrabile. Lo show è stato apprezzato dai presenti ed in casi come questi non si può che applaudire una band che sta crescendo e si sta facendo le ossa sempre di più, che possa piacere o meno il nuovo stile. Forse manca una certa spontaneità e c’è un’eccessiva voglia di suonare violenti ma sono dettagli personali. Seguono poi gli A Forest Mighty Black da Vicenza. Il quintetto veneto, dopo un soundcheck eccessivamente lungo sparano sui presenti il loro stoner/grunge che in parte, come qualcuno ha anche notato, ricordano vocalmente qualcosa degli Alice in Chains. Il problema maggiore è la forte diversità tra studio e live, in quanto se su disco il sound è roccioso e godibile ciò dal vivo si percepisce pochissimo. Anche se c’è poca originalità ciò non toglie che i pezzi in qualche modo possano coinvolgere, ma lo show è parso fiacco e monotono non riuscendo a scuotere l’animo dei presenti. C’è stata troppa discontinuità e un amalgama generale non ancora delineato. Da rivedere per capire se è stata solo una brutta giornata.
Ero poi curioso di assistere nuovamente ad un concerto dei Serpe in Seno, duo che ad oggi si è trasformato in trio abbinando oltre al basso/batteria anche voce e diavolerie elettroniche/tastieristiche. Di base il sound è sempre stato uno stoner devastante a livelli nucleari senza l’ausilio della chitarra ma ora anche per loro si può parlare di evoluzione. Tutto si è fatto più psichedelico e meno muscolare lasciando prevalere il cervello alla mera ignoranza e ciò se da un lato può essere interessante dall’altra però sminuisce la micidiale sezione ritmica. Le vocals disturbanti e le bordate psych non convincono del tutto e non entrano al meglio nelle ritmiche del gruppo. In molti comunque hanno apprezzato ma a mio avviso qualcosa non funziona.
Dal Sud Italia arrivano poi i Muffx che portano una ventata di melodia che non può che far bene. Fin dalle prime note si percepiscono maestria e tecnica sopraffine. Il quartetto pugliese, forte del nuovo album L’Ora di Tutti, profuma l’aria con il suo progressive rock settantiano mescolato a jazz, qualche bordata hard rock/stoner e tanta classe. Le tracce scorrono fluide e piacevoli ed ammaliano per quanto sono ben fatte ed eseguite. Ogni musicista è concentrato mettendoci cuore e tanta passione che scatena consensi generali. Dopo tanta distorsione ci voleva qualcosa di più leggero. Durante il cambio palco si approfitta per cenare e fare qualche acquisto finché non iniziano gli Elepharmers dalla Sardegna.
Il terzetto di Cagliari va diritto al sodo con il suo stoner metallizzato senza fronzoli. Lo show è molto in your face, diritto e tosto ma che alla lunga tende ad essere parecchio ripetitivo. Nonostante ci sia tanta potenza e distorsione a catinelle nel giro di poco i brani tendono a mostrare la corda presentando troppo poche variazioni con un groove purtroppo singhiozzante e che fatica a far scapocciare se non in pochissime occasioni. Il pubblico comunque gradisce e applaude ma a mia opinione l’assenza di personalità si sente troppo.
La stanchezza si fa sentire ma non è ancora finita perché tocca agli Universal Sex Arena calcare lo stage. Qui la musica cambia nuovamente ed in maniera considerevole. Sei sono i musicisti divisi tra percussioni, due chitarre, basso, batteria e voce e la musica prende una piega particolare: un mix di melodia che ricorda l’Est Europa, ritmiche balcaniche, rock ed un pizzico di garage. Questo improbabile miscuglio ha un certo effetto positivo durante le prime canzoni ma con il tempo ci si rende conto che segue un canovaccio troppo ristretto ed il tutto comincia a ripetersi. È un vero peccato perché tecnicamente e a livello compositivo si percepisce la voglia di creare qualcosa di originale, ma al momento è ancora poco. In ogni caso da rivedere per avere un’opinione migliore.
Arriviamo al finale con il trio Wedge da Berlino, una vera manna dal cielo grazie al loro rock’n’roll/blues mischiato all’heavy rock: tanta energia ed allegria che risolleva le anime spossate dei presenti rimasti. I tre musicisti sparano il loro rock velocissimo con cascate di assolo ed un pizzico di tastiere vintage che rende il sound bello pieno; non ci sarà originalità ma la loro musica è talmente semplice e genuina che arriva direttamente all’anima toccando le corde giuste e coinvolgendo al massimo senza il bisogno di nient’altro che chitarra, basso e batteria.
Si è trattato di una degna conclusione dell’edizione numero undici del Maximum Festival. Un applauso ancora una volta all’Altroquando (onore come sempre ad Oriano), alla GoDown Records, ai fonici, allo staff e a tutti i presenti per esserci sempre. Al prossimo anno!