Dopo il monumentale doppio album di un paio di anni fa i giapponesi Mono tornano con un lavoro che non delude le aspettative. La produzione è di Steve Albini, che da dieci anni non collaborava con loro: dopo essersi rivisti in occasione del tour degli Shellac lo scorso anno, hanno deciso di incontrarsi nuovamente in studio. I cinque brani che ne escono fuori spaziano in maniera significativa tra le zone più oniriche lambite dai Nostri a bordate di potenza sludge; il lavoro dell’occhialuto produttore riesce a dare il giusto valore e dinamismo al disco.
Abbiamo già ampiamente assimilato l’episodio iniziale “Death In Rebirth” nello split con i The Ocean. Proseguendo l’ascolto la quietezza degli archi e i passaggi di piano di “Stellar” non lasciano minimamente presagire cosa ci aspetterà con la seguente titletrack. Durante l’ascolto di “Requiem For Hell” (una suite di ben diciotto minuti!) appare evidente come per i Mono questa lunga traccia sia una sorta di seduta psicoanalitica, che porta il loro essere a lati diametralmente opposti. L’incipit è fatto di arpeggi carichi di delay, che subiscono un brusco cambio di umore ad opera di un basso slabbrato e distorto e rullate tiratissime, ad accompagnare chitarre che gridano al mondo le loro urla di disperazione. La catarsi del finale vi inchioderà alla sedia, garantito. La delicatezza torna a manifestarsi con la carezzevole “Ely’s Heartbeat”, un omaggio alla futura figlia di un caro amico.
“The Last Scene” saluta chi ascolta in punta di piedi e con la consapevolezza che, ancora una volta, i Mono sono riusciti a far breccia nel nostro cuore con una purezza di intenti davvero commovente. Oltre il post rock e oltre la musica si trova un piccolo spazio nel quale Takaakira Goto e i suoi compagni riescono a intrappolare sensazioni in maniera del tutto unica.
(Pelagic records, 2016)
1. Death In Rebirth
2. Stellar
3. Requiem For Hell
4. Ely’s Heartbeat
5. The Last Scene