Se l’obiettivo dei Monolord, con l’uscita di Your Time to Shine, era quello di farci tornare nostalgici ai tempi di capolavori come Empress Rising o Rust, si può dire che l’ultimo lavoro degli svedesi centri appieno il bersaglio. Quella che sembra ormai l’ombra bolsa e stanca del power trio di Göteborg sfornerà il 29 ottobre per Relapse Records la propria ultima fatica, un compendio di cinque tracce in cui i Nostri tentano di reinventarsi, staccandosi da quell’immagine di doomer che ha contribuito a renderli ciò che sono (o che erano…) a favore di una più hippie e rock-oriented, purtroppo senza un particolare successo.
L’idea che sta alla base di Your Time to Shine è chiara fin dalla metà della seconda traccia: impreziosire ciò che fino ad oggi (o meglio, fino a prima di No Comfort) era stato soprattutto pesantezza e riffing (seppur uno dei più raffinati in circolazione) con influenze psichedeliche e space-rock. Un’operazione di cui, a parere di chi vi scrive, la musica dei Monolord non sentiva il bisogno, collocandosi alla perfezione nell’Olimpo del fecondissimo seppur ristretto panorama del doom svedese e nord-europeo in generale (buttandoci dentro pure il Regno Unito, già che ci siamo). Si approda così ad una commistione che non è né l’hard rock che strizza l’occhio al doom dei Graveyard né l’oscuro heavy metal degli Hippie Death Cult, ma a qualcosa che livella ogni spunto interessante, nello sforzo perenne di risultare evocativo o onirico o chissà cos’altro, uccidendo qualunque linea chitarristica degna di nota e distorcendo tutto allo stesso, piatto, modo. L’album si apre in un crescendo con il riff nostalgico di “The Weary”, che insieme a “I’ll Be Damned” (notevoli le vocals) si rivela la migliore traccia dell’album: un riff catchy ma dimenticabilissimo e una linea vocale che per la maggior parte del tempo fa ciò per cui è pensata, cioè cullare l’ascoltatore insidiandone le orecchie, ma che a volte pare la parodia del più ispirato Thomas del passato. Tra i due brani è posta “To Each Their Own”: sette minuti e mezzo di vuoto siderale, che si cancellano dalla memoria quando l’ultima nota viene suonata come i dati sulla RAM quando si spegne il computer. La title-track, a metà strada tra la ballad stoner (anche ben eseguita) e, sul finale, un cd dei Doors che si è incantato nel lettore, è un polpettone che sembra voler fare da parodia a “Planet Caravan”, con l’ulteriore differenza di durare due volte e mezzo quest’ultima. Si termina con “The Siren of Yersinia”, sineddoche dell’intero lavoro: lunga, gradevole al primo ascolto ma noiosa già al secondo e, in generale (è orrendo da dire), poco ispirata.
Riascoltando No Comfort (2019) dopo l’ennesimo sofferto ascolto di Your Time to Shine è chiaro come quella descritta qui sopra sia ormai la strada maestra della produzione del trio svedese, che sta cercando di assestarsi, claudicante e forse già fuori tempo massimo, nelle coordinate che definiscono il revival heavy-psych a cui abbiamo assistito nell’ultima decina d’anni in ambito estremo. Se questo lavoro compendia in sé ciò che dobbiamo aspettarci da questi Monolord più “onirici e profondi”, e temo proprio lo faccia, vi conviene andare tutti ad ascoltare i King Buffalo.
(Relapse Records, 2021)
1.The Weary
2.To Each Their Own
3.I’ll Be Damned
4.Your Time to Shine
5.The Siren of Yersinia