Dopo un lungo periodo di silenzio sono tornati i Moonspell, i Titani lusitani del dark metal, formazione tra le più importanti dell’attuale panorama metal mondiale. Sono passati quasi quattro anni dal precedente maestoso capolavoro intitolato 1755 (uscito nel novembre del 2017), e tre dal live album Lisboa Under The Spell del 2018, e qualcosa sembra essere cambiato nella band, così come è cambiata la vita di tutti noi da un anno a questa parte. Hermitage, pubblicato dall’inossidabile Napalm Records, è il tredicesimo album in studio nella carriera ormai trentennale della band, prodotto, mixato e masterizzato da Jaime Gomez Arellano (Paradise Lost, Primordial, Ghost, Sólstafir e molti altri), ed è il primo album registrato senza Miguel “Mike” Gaspar alla batteria, sostituito da Hugo Ribeiro (nessuna parentela con il cantante Fernando), precedentemente nel gruppo progressive/power Timeless.
Questo nuovo capitolo della storia dei Nostri è un disco sincero, intimista e introspettivo, dove vengono messe in musica tutte le inquietudini dell’anno appena trascorso; come suggerito dal titolo dell’album, le canzoni sono tutte incentrate sulla figura dell’eremita, nel modo più vasto del termine, dagli antichi asceti che vagavano nel deserto in cerca di visioni mistiche fino agli odierni hikikomori che non escono di casa e comunicano con l’esterno solo attraverso il computer, figure dai comportamenti apparentemente opposti, ma legati dalla decisione di isolarsi dal mondo civile per cercare le risposte alle proprie domande solo attraverso sé stessi e la propria solitudine. Il gothic/dark metal a cui i Moonspell ci avevano abituati viene riletto e plasmato, attraverso influenze instabili come il progressive rock e la psichedelia (Pink Floyd docet), come fatto sapientemente anni orsono dai Tiamat con Wildhoney; i brani hanno una struttura aperta e sono privi di inutili orpelli, aggirando gli stereotipi del genere e ripercorrendo la strada dell’evoluzione già percorsa con Sin/Pecado e The Buttefly Effect.
Durante l’ora di durata del disco si alternano parti meditate e malinconiche (“All Or Nothing”), ipnotismi di scuola pinkfloydiana (“Apophthegmata” e la strumentale “Solitarian”), evoluzioni del classico Moonspell-sound (“The Greater Good” e “Common Prayers”), ma anche vere e proprie chicche che diventeranno sicuramente degli inni in sede live (la title-track o “The Hermit Saints”, in entrambe riecheggia l’influenza dei Bathory del periodo viking), oscurità rock-oriented (“Entitlement”) e richiami electro-industrial (“Without rule”). Gli arrangiamenti sono come sempre superbi, le chitarre di Ricardo Amorim e le tastiere di Pedro Paixao funzionano all’unisono, come a creare un unico strumento, ma la vera forza dell’album è, a mio avviso, la voce di Fernando Ribeiro, ora più che mai duttile nel decantare le oscure litanie, prevalentemente pulita (sono sporadici i growl o i richiami alle radici che affondano nel black metal) e in completa armonia con le composizioni. Piccola curiosità: nelle versioni in vinile, cassetta e mediabook è presente come traccia bonus la cover di “Darkness In Paradise” dei seminali doomster svedesi Candlemass, mentre nella versione Deluxe Box, oltre alla già citata cover, c’è la traccia bonus “The Great Leap Forward”.
Come dichiarato più volte dalla band, i Moonspell stanno affrontando gli ultimi anni della loro carriera e hanno deciso di farlo offrendoci la migliore musica possibile; sta a noi accettare o meno la loro offerta, portarli con noi nel luogo che più sentiamo nostro, nel nostro posto speciale, nel nostro eremo.
(Napalm Records, 2021)
1. The Greater Good
2. Common Prayers
3. All Or Nothing
4. Hermitage
5. Entitlement
6. Solitarian
7. The Hermit Saints
8. Apophthegmata
9. Without Rule
10. City Quitter (Outro)