Questo nella storia del post metal è un periodo strano: con lo scioglimento degli ISIS , con l’inevitabile calo di mostri sacri del genere come Neurosis e la continua fuoriuscita di band fotocopia che nulla aggiungono alla scena, cercare tracce d’originalità o semplicemente di non annoiarsi senza naufragare nella nostalgia sembra un’impresa. Eppure, nel 2011, c’è ancora qualcuno in grado di stupire positivamente l’ascoltatore più legato a certe sonorità. Si tratta dei Morne, 5 ragazzi provenienti da Boston, che si consacrano grazie al loro secondo full length, scrollandosi di dosso la pesantissima e comune etichetta di gruppo derivato dei Neurosis. Non si parla certo di un capolavoro, ci mancherebbe altro, ma la ventata di freschezza è ineccepibile. E da un certo punto di vista sorprende. Ciò che colpisce di più, oltre una rispolverata non indifferente di certi stilemi post/doom/metal e violentemente sludge, è la cura delle atmosfere. Non è atipico trovare in album del genere echi di tastiere ed effetti industrial, come quelle verso cui sembrano inevitabilmente naufragare i molti decantati esponenti del genere. Quello che viene fuori da Asylum sono atmosfere sporche, distruttive e feroci, ritrovabili forse solo nei momenti più ispirati dei Minsk, evitando ogni paragone con gli inarrivabili ISIS o i primi Neurosis e facendone uno con il recente passato. In particolare, l’uso delle tastiere non risulta invasivo rispetto al muro sonoro creato, ma è un tappeto lievemente gotico nel suo essere scarno, con richiami quasi tendenti alla dark wave e al black scandinavo degli anni Novanta. A questo proposito come non citare “Edge of The Sky”, o la titletrack stessa: una bellissima traccia di 17 minuti che non stanca ma anzi, fa venir voglia di voler proseguire il viaggio all’interno dell’album. Si prosegue poi con altri pezzi di buona fattura come “Nothing to Remain”, “Killing Fields” e “My Return”. Chiude il lotto la spirituale “Volition”, degna conclusione di un lavoro che fa del suo principale pregio la sporcizia di suoni ben definiti, così tanto corposi, ma mai fuori posto. Sono attuali, rielaborati con gusto dal passato, e capaci di far provare contemporaneamente il caldo e il freddo. Asylum mostra il lato nascosto di un genere che sembrava non avere ormai più nulla da dire. Nulla di particolarmente nuovo, ma un viaggio attraverso una fitta steppa, illuminata da sottili raggi di sole, di quelli che danno, seppur momentaneamente, un minimo tepore nel pieno dell’inverno. Provare per scuotersi.