Se The Stench of Death fosse stato un bambino sicuramente sarebbe finito in uno di quei servizi del telegiornale sui primi nati dell’anno. L’ultimo lavoro dei Mortis Mutilati, progetto di funeral black metal francese che fa capo sin dal 2011 alla testa pensante di Macabre, vede infatti la luce proprio il primo gennaio di questo nuovo anno. Autoprodotto e registrato in Svezia, The Stench of Death segue a tre anni di distanza il precedente Mélopée Funèbre, che gli ha permesso di andare in tour fino a quest’estate in Russia, e verrà supportato a marzo da un tour in Messico.
Sin dall’intro “Nekro”, Mortis Mutilati, tra lugubri arpeggi e cori impalpabili, ci introduce in un universo cimiteriale, dalle atmosfere anche preromantiche ma che evita speculazioni metafisiche sulla morte per affrontarne invece solo le tracce materiche che lascia: la decomposizione e il fetore – the stench. Dall’artwork pare pure che si voglia pervertire l’assunto bramstokeriano del love never die, di una qualche immortalità comunque, per soffermarsi invece più spietatamente su vestigia corrotte e ricordi sbiaditi. Inglese e francese sono le lingue dei testi mentre la trattazione della materia musicale deve affrontare i limiti intrinseci di un genere dotato di variabili e soluzioni tutto sommato finite. Eppure, nonostante non manchino un paio di momenti più anonimi (“Regards d’Outre Tombe” o “Onguent Mortuaire”) i Mortis Mutilati riescono a dare un buon equilibrio all’album, rispettando i crismi di scrittura e proponendo ottime canzoni. “Echoes from the Coffin” ha un andamento da litania e i sussulti della sezione ritmica spezzano il senso di immensa desolazione e mantengono vispo l’ascolto. Stupenda la corsa in cui si lanciano nel finale. “Crevaint-Laveine” si dipana lentamente lasciando via via spazio a inserti più propriamente black mentre di sottofondo si stagliano trame serene e cori che sembrano giungere direttamente da fuochi fatui grazie a cui il lirismo della seconda parte assume i toni di un immenso, languido, epitaffio amaro. “Portrait Ovale” è il brano più lungo, un lamento funebre abilissimo nel seguire diverse direzioni. Non mancano neppure brani più duri come “Invocation à la momie” o “Homicidal Conscience, con il featuring di Devo Andersson dei Marduk, un brano dal tenore più black, il più aggressivo sicuramente, sebbene contrappuntato dai consueti cori eterei.
The Stench of Death non è la classica stronzatina da one man band autoprodotta, i suoi 50 minuti possono scoraggiare ma scorrono via senza pesare. Se il goal voleva essere quello di descrivere il tetro afrore della morte allora la missione è compiuta.
(Autoproduzione, 2018)
1.Nekro
2.Echoes from the Coffin
3.Crevant-Laveine
4.Regards d’Outre-Tomb
5.Onguent Mortuaire
6.Portrait Ovale
7.Homicidal Conscience
8.Invocation à la Momie
9.L’odeur du Mort
10.Ecchymoses