Capitano molto di rado quei dischi che sono assolutamente perfetti, coerenti con loro stessi e in grado di comunicare qualcosa, financo ridare un aura di fascino a un genere che cominciava a vacillare negli ultimi tempi. I Múr sono riusciti a fare questo, un lavoro non da poco, ma riuscito senza dubbio.
L’album omonimo della band islandese è un compendio di post-metal che racchiude in sé tutta quella bellissima anima riflessiva e allo stesso tempo pesante di cui dovrebbero essere fatti tutti i dischi di questo genere. Múr è un lavoro talmente venuto bene che mi riesce anche difficile delinearne i tratti così finemente tracciati. Ma cosa rende questo disco così tanto valido? Molto probabilmente si tratta di una mera scelta di note; mentre lo si ascolta si può immediatamente fare caso al fatto che la pura scelta di note non è quella che potresti trovare ovunque. Si tratta di una cosa talmente curata che a tratti sembra di non ascoltare della musica, ma bensì un’elucubrazione filosofica, fatta di un alternare da sinuose articolazioni di pensiero profondo a dinamiche esplosioni di potente rabbia astiosa. La composizione dei pezzi singoli è qualcosa di notevolmente curato, tanto che nonostante spesso il genere posa tendere a tediare, qui non succede, cerca in realtà di rendersi sempre il più interessante possibile ed è in questo modo che abbiamo un album che non si fa nessun problema ad avere sezioni all’interno dei singoli brani che sono fatte della stessa nota anche per diverso tempo, ma è il resto a cambiare, a mutare e a respirare di grandi aperture ariose, alte, infinite. La band non arriva dal nulla, in realtà hanno scelto di prendersi tutto il tempo dovuto per realizzare questo lavoro, la loro gavetta se la sono fatta, in giro per l’Europa, testando la loro proposta, non è quindi un caso che siano arrivati a Múr con una sicurezza così solida. Le atmosfere di questo disco sono concrete e sicure, mai claudicanti, mai incerte. Questo è un album che può vantarsi di essere una carta d’identità. Un documento con cui presentarsi con fierezza sapendo di aver realizzato uno dei dischi migliori del 2024. Volendo essere noiosamente referenziali va detto che questo lavoro potrebbe fare la gioia di chi si è goduto con lascivo godimento gente come i Vattnet, Shattered Skies, My Diligence, Four Stroke Baron e Daniel Tompkins. Ci vorrebbe anche un’ultima nota per rendere ancora più giustizia a un album come questo. La copertina sembrerà banale, ma in realtà è perfetta, non perché ricorda un capolavoro storico della musica quale è Songs from the Big Chair, ma per il semplice fatto che il disco prende il nome della band, e quale miglior copertina poteva venir pensata se non un’elegantissima foto della band quasi fosse un disco degli anni Ottanta?
Esiste un motivo per cui io nutro un fortissimo entusiasmo per questo album: è un debutto. E a questo punto mi domando se questo non sia unicamente una gigantesca botta di fortuna oppure piena coscienza delle proprie capacità, se si tratta del secondo caso, non oso immaginare cosa proporrà la band in seguito, anche considerando che magari potrebbero sentire il peso di un disco perfetto come lo è questo.
(Century Media Records, 2024)
1. Eldhaf
2. Múr
3. Frelsari
4. Vitrun
5. Messa
6. Heimmslit
7. Holskefla