Prima release con la statunitense Southern Lord per i Nadja, duo noise canadese stabilmente sistemato da un decennio nella sempre stimolante atmosfera berlinese. Luminous Rot è il titolo scelto per questo loro recente album, terzo disco per questo duemilaventuno e l’ennesimo di una carriera che li vede attivi dal 2005 ed estremamente prolifici. Aidan Baker e Leah Buckareff amano descrivere la loro proposta come un mix tra ambient doom, dreamsludge e metalgaze. Non ho idea se questa sia la migliore definizione del suono che da sempre li caratterizza, di certo sappiamo però che ogni loro album ha sempre quel qualcosa che ci tiene incollati allo stereo per tutta la durata del disco. Non amo molto descrivere gli album rifacendomi a quelle che sono i generi, preferisco concentrare la mia attenzione su quelle che sono le sensazioni che un disco mi regala intimamente. I Nadja in questo senso riescono ogni volta a portarmi dalla loro parte, indipendentemente dal mood dell’album, sempre comunque orientato verso un’opprimente pesantezza.
Rispetto alle uscite recenti Nadja ha scelto di virare verso brani più immediati, più vicini alla “forma canzone” classica, che si indirizzano su sonorità meno monolitiche rispetto al passato. Luminous Rot nasce con l’intento di coniugare al Nadja sound, da un punto di vista strettamente concettuale, argomenti legati al contatto alieno derivanti da letture come quelle di Stanislaw Lem, Margaret Wertheim e Cixin Lui, improntate su astrofisica, multidimensionalità e geometria spaziale. L’incontro con civiltà aliene sublimato da un sound “alieno” rispetto al passato, non a caso l’album è stato registrato al Broken Spine Studios, il loro home studio berlinese, per essere poi successivamente mixato da David Pajo (Slint, Tortoise e Zwan) prima di venire masterizzato ancora una volta da James Plotkin. Ciò che più ha attecchito sull’album è sicuramente la lavorazione insieme all’ex chitarrista degli Slint, proprio per la scelta stilistica di approcciare sonorità post-punk e modificare il loro approccio in fase di arrangiamento e di costruzione dei brani.
L’album segue il recentissimo “Seemannsgarn”, unica lughissima traccia, uscita un paio di mesi fa nella sola versione digitale, in abbinamento ad una stampa ricavata da una foto del Rummelsburger See, il bacino berlinese dello Sprea, a pochi passi dal loro studio, da cui si distacca in modo nettissimo. Se “Seemannsgarn” rappresentava un unico immenso monolite di oltre quaranta minuti, questo Luminous Rot invece ci porta verso un percorso più articolato, ma con un approccio più immediato che fa risaltare la loro intenzione di spostare il tiro verso un album decisamente più ipnotico, caratterizzato da “melodie” [passatemi il termine] irresistibilmente magnetiche. Un salto che personalmente non avrei mai pensato di poter coniugare al duo canadese ma che ora, a posteriori, dopo aver ascoltato e riascoltato l’album trovo quanto mai azzeccato e geniale. Riassumerlo come un mix psichedelico tra i Godflesh e gli Slint sarebbe troppo facile come conclusione, ma a volte sono proprio le cose più facili quelle che si avvicinano alla realtà.
(Southern Lord Recordings, 2021) 1. Intro 2. Luminous Rot 3. Cuts On Your Hands 4. Starres 5. Fruiting Bodies 6. Dark Inclusions