Dopo un primo album uscito una manciata di anni fa, i tedeschi Nazca Space Fox arrivano in tempi brevi alla seconda tappa discografica con il qui presente Pi. Il disco, interamente strumentale, segue la scia dell’heavy psichedelia che negli anni odierni pare sia davvero sulla cresta dell’onda. Si potrebbe parlare anche di heavy rock o retro rock in quanto si riesumano quelle sonorità tanto care al periodo a cavallo tra gli anni 60’ e i 70’, momento di svolta per la musica dura che è ancora viva oggi.
Il trio teutonico si avvale di una strumentazione semplice (chitarra, basso e batteria) ed elementare senza l’ausilio di orpelli inutili ispirandosi a band come i maestri Yawning Man ma non solo. La sei corde domina durante quasi tutto l’ascolto disegnando melodie delicate (“Windhund”) tra psichedelia soffice e misticismi sonori ma mai melensa come si potrebbe pensare. È musica lisergica che però quando si tratta di martellare e stordire non si lascia certo pregare innalzando muri stoner impenetrabili (la fumosa ““Hummingbird” o le bastonate di “Grinder”) che per quanto sappiano di già sentite appassionano. Dall’altro lato però qualcosa non fila esattamente come dovrebbe. Di base ci sono parecchi passaggi strumentali che tendono ad essere troppo ripetitivi oppure senza avere delle idee chiare (“Showdown” appare troppo ambigua) e ne sono fulgidi esempi la doppietta “Space Drift” e la seguente “Space Farm Blues”. La prima ha un’impronta hendrixiana dove i riff sono rugginosi ed aggressivi e verso la metà ha un’interessante intermezzo space rock pieno di assoli acidi; non c’è però un vero e proprio decollo, come se ci fosse il freno a mano tirato nonostante una bordata finale micidiale. Stesso discorso per la seconda traccia che si presenta come un blues in crescendo che si fa via via epico ma anche qui si perde in ripetizioni continue che alla lunga tendono a diventare fastidiose, per poi riassestarsi con un’esplosione orgasmica nel finale. È una sorta di bignami dove tutto il meglio dei generi musicali proposti viene condensato in maniera abbastanza equilibrata, ma sa troppo di revival senza avere un’identità netta. Tutto ben suonato e con momenti piacevoli, ma il rischio è che si confonda in un mare di uscite simili.
In definitiva l’album è piacevole e sicuramente regala soddisfazioni ma è “poco”. Sarebbe ora che si svecchiassero queste sonorità perché rischiamo di avere molti gruppi tutti uguali, anche se di buona qualità.
(Tonzonen Records, 2019)
1. Windhund
2. Space Drift
3. Space Farm Blues
4. Hummingbird
5. Showdown
6. Grinder