Adoro gli album che riescono a destabilizzare la mia già di per sé precaria situazione. E con questo Anamorphosis dei Nibiru vado letteralmente in estasi. Il disco, che arriva a due anni da Panspermia, rappresenta il settimo capitolo in dieci anni di attività per il trio torinese. Questo però non è un album come tanti. È un riuscitissimo tentativo di spostare “altrove” l’idea di musica. Una sola traccia di cinquantacinque minuti e cinquantacinque secondi che canta l’abisso, celebrandolo in un lunghissimo sabba in totale assenza di luce. Un album dal grande impatto, sicuramente ostico, che lascerà perplessa la maggioranza degli ascoltatori, ma che, al tempo stesso, riuscirà a far impazzire quelli che approcciano la musica con la speranza di essere trasportati in luoghi come quelli che sono descritti in Anamorphosis, dove non ci sono regole se non l’assenza di regole.
Anamorphosis è un cerimoniale nerissimo che guarda alla creazione del caos primordiale e alla distruzione degli elementi, guardando oltre l’uomo, oltre l’abisso, oltre la vita e la morte. E lo fa conducendoci attraverso un peregrinare senza fine che ci condurrà alla follia. Un album che prende forma e vita proprie, e che rischia di allontanarsi dall’idea di disco per come siamo abituati a concepirla, stravolgendo il concetto stesso di musica e di ascolto, proiettandoci in una dimensione “altra” da cui non sappiamo se potremo un giorno tornare indietro.
Carico di forti matrici ritualistiche, visionarie, tribali ed evocative, l’album ci illustra un viaggio angosciante e nerissimo, che si rivela al tempo stesso catartico e purificatore, con cui scavare nel profondo dell’animo umano, mai così degradato come oggi. Un viaggio da cui se ne esce in un solo modo, attraverso una via dolorosa che prima trasforma per poi distruggere e ricostruire. Un’opera dal forte taglio psichedelico e sperimentale che guarda all’esoterismo più vicino all’occultismo in maniera “adulta”.
(Argonauta Records, 2023)
1. Anamorphosis