
Se c’è una cosa che non deve mai mancare in un genere borderline come il grindcore è la naturalezza con cui si affrontano le cose. La voglia di essere dissacranti e l’autoironia sono ingredienti che consideriamo come necessari, se non addirittura fondamentali. Se poi a questo riusciamo ad associare un approccio sociopolitico di stampo anarchicamente orientato alla ribellione, allora non possiamo non tornare a pensare a quegli straordinari anni in cui il grindcore era a tutti gli effetti considerabile come l’autentica seconda ondata punk della storia della musica, a distanza di un decennio da quella del settantasette che aveva aperto le danze. Gli statunitensi Nuclear Dudes vanno esattamente in questa direzione. Al limite non saranno estremamente politicizzati, pur se riconducibili all’area antagonista di cui sopra, ma, quanto a componente “funny” possiamo star tranquilli. Siamo certamente lontani dal crossover con l’hardcore degli anni Ottanta, quello degli inizi del movimento estremista sonoro, ma questo non toglie nulla alla resa complessiva di un album che possiamo collocare vicino ad un appeal industrialeggiante che rappresenta al meglio il momento storico che stiamo vivendo, sempre più intimamente legato a quel mondo contemporaneo, figlio della rivoluzione digitale, che sta mietendo sempre più vittime tra i meno giovani, tra i non nativi digitali.
I Nuclear Dudes sono una band perfettamente consapevole del proprio saper essere coesa, sia da un punto di vista sonoro che che strutturale. I brani infatti suonano compattissimi, quasi orientabili verso un assurdo “easy listening” che, per un genere come questo, potrebbe essere visto come un paradosso o un azzardo, ma che, alla resa dei conti, è quanto di più vicino alla realtà delle cose. Attenzione però, il lato dissacrante e molto poco serioso non deve portarci a pensare che siamo alle prese con un qualcosa di improvvisato, di non curato. Tutt’altro, la band ha una quota stilistica e compositiva di primissimo piano. Le cose i Nuclear Dudes le prendono anche troppo sul serio, anche perché, se così non fosse, non avrebbero mai realizzato un album così eterogeneo ma al tempo stesso impattante come Truth Paste. Il disco, che consta di 23 minuti di follia suddivisi in undici intensissimi episodi in cui resta costante un senso di tensione quasi palpabile, ribadisce ancora una volta come sia del tutto inutile, se non addirittura dannoso, andare ad allungare a dismisura il discorso (in questo caso sonoro) quando in realtà il concetto è lampante, e l’obiettivo precedentemente prefissato è stato ampiamente raggiunto.
Alla fine che cosa resta di Truth Paste se non la convinzione di essere alle prese con un album che si eleva dalla media grazie al suo carattere deciso, figlio della capacità della band di riuscire a giocare tra di distanze e dissonanze, in un rimpallo che accompagna un autentico viaggio di sola andata all’interno della schizofrenia. Un viaggio che può portare solo alla follia, ma che sentiamo di dover affrontare, per il piacere di poterci immergere in un vortice che non concede tregua, e che ci soffoca con il suo fastidioso e imperterrito incedere alienante.
(Autoproduzione, 2025)
1. Napalm Life
2. Holiday Warfare
3. Truth Paste
4. Dirty 20
5. Sad Vicious
6. Concussion Protocol
7. Space Juice
8. Juggalos for Congress
9. Pelvis Presley
10. Death at Burning Man
11. Cyrus the Virus


