Creativamente stanco, saturo, inflazionato, (sovra)popolato da legioni di mestieranti che ripropongono pigramente stilemi figli di un’epoca d’oro in cui i pionieri hanno definito rotte e traiettorie e collocato le colonne d’Ercole del movimento… Quando si parla di post-metal, severità di giudizio e critiche a prescindere sembrano ormai diventati ingredienti imprescindibili, dietro i quali, peraltro, molto spesso si nasconde il malcelato fastidio per un genere accolto da subito con sospetto e senso di superiorità in molti cenacoli, al punto da metterne in dubbio finanche la legittimità dell’appartenenza alla metal-famiglia. Ora, se è pur vero che l’affollamento alle fonti di un genere rischia di provocarne l’esaurimento e contemporaneamente contaminarne la purezza, è altrettanto vero che i veri, grandi fuoriclasse riusciranno sempre e comunque a distinguersi, magari permettendosi finanche il lusso di sparire dalle scene per anni e ripresentandosi con lo stesso, intatto carico di classe e personalità.
È questo sicuramente il caso dei polacchi Obscure Sphinx, meritatissimamente approdati alla dimensione “punta di diamante” nello scorso decennio grazie a un già promettente esordio come Anaesthetic Inhalation Ritual e, soprattutto, con la spettacolare doppietta Void Mother/Epitaphs, che li ha consacrati tra le stelle più luminose dell’intera volta celeste a tinte post-. Collocabile in un’ipotetica e quanto mai fertile terra di mezzo tra la visionarietà cinematografica di scuola Cult Of Luna (citiamo qui solo un brano come “The Presence of Goddess”, che sulla Vistola illumina un’intera discografia non meno di una “Dark City, Dead Man”, a Umeå e dintorni) e i paesaggi acidamente corrosivi marchio di fabbrica degli Amenra del periodo Mass, il combo di Varsavia è assurto rapidamente agli onori delle cronache pentagrammatiche soprattutto grazie alle clamorose prove al microfono della vocalist Zofia “Wielebna” Fraś, capace di spaziare con pari, incredibile resa dalla modalità macchina da guerra infernale alle divagazioni trasognate e quasi poeticamente eteree. Ma, appena ottenuto e consolidato il seggio tra i Grandi, al netto della pubblicazione dei due cimenti live Thaumaturgy, gli Obscure Sphinx sono sprofondati in un silenzio durato oltre otto anni ed è quindi con comprensibile stupore e trepidante attesa che abbiamo accolto la notizia della pubblicazione di quello che, una volta fugato l’alone di mistero iniziale, ha assunto immediatamente i contorni del lavoro perfetto per materializzare una rentrée semplicemente da applausi. D’accordo, il formato EP scelto per questo Emovere potrà forse far storcere qualche bocca, a maggior ragione se consideriamo l’interminabile digiuno forzatamente osservato, ma, lo diciamo in premessa, la mezz’ora di musica proposta riparte esattamente da dove il viaggio si era interrotto, mostrandoci una band in straordinario stato di grazia creativa e sempre in grado di intrecciare trame e atmosfere in un unicum dai contorni magici, coinvolgenti e travolgenti. Anche stavolta, infatti, siamo al cospetto di un post-metal capace allo stesso tempo di guardare negli occhi l’abisso e di alzarsi in volo offrendo diorami trascendenti, in un tripudio di sogni, estasi e allucinazioni che demoliscono la percezione spazio-temporale proiettandoci in dimensioni parallele. E anche stavolta il risultato è un lavoro che trasmette, riproducendole artisticamente, sia la solitudine individuale, con le claustrofobie e le ansie di ciascuno di noi, insignificanti unità carbonio che ci illudiamo di popolare da protagonisti per un breve attimo frammenti di Infinito, sia i possibili percorsi catartico/iniziatici per raggiungere la consapevolezza e accettare il ruolo che la divinità/il fato/l’evoluzione ci hanno assegnato. Dea ex machina di questo parallelogramma di forze e direzioni, lady Fraś regala l’ennesima prova clamorosamente monumentale, metà Caronte che incarna i nostri incubi più cupi, metà sacerdotessa pronta a celebrare un rito salvifico, a condizione di affidarci a lei, rigorosamente in uno stato di trance. Ecco allora da un lato uno scream lancinante e abrasivo che attraversa l’oscurità rendendola ancor più sinistra e spettrale e dall’altro un clean magnetico e ammaliante che all’occorrenza fa alzare gli occhi al cielo entrando in sintonia con le armonie celesti. Intorno alla Regina, brillano del pari le luci di una line-up come sempre non meno straordinaria, agevolata da una sostanziale stabilità che è merce rara, su queste frequenze, a partire dal solito arcobaleno di strappi e arabeschi del signore delle sei corde Aleksander “Olo” Łukomski, per concretizzarsi con il rientro in squadra di Mateusz “Werbel” Badacz alle pelli, a ricomporre con il signore delle quattro corde Michał “Blady” Rejman il binomio perfetto per una sezione ritmica che dispensa a piene mani potenza ed epicità. Tre sole tracce per un minutaggio che, come detto, non supera i trenta minuti complessivi, Emovere si apre con la traccia che riporta più immediatamente indietro le lancette del tempo restituendo gli Obscure Sphinx ai fasti del passato, “Scarcity Hunter”, autentico ottovolante emozionale in cui il quartetto mette in campo cambi di ritmi e atmosfere a tamburo battente senza mai interrompere un flusso narrativo pur sempre oscuro ma che, per chi abbia almeno un po’ di familiarità con il genere, brilla per fruibilità e approccio melodico (beninteso del tutto estraneo a qualsivoglia paccottiglia easy listening d’accatto). Al confronto, la successiva “As I Stood Upon the Shore” appare indubbiamente più “solare” e dimostra come i polacchi siano in grado di disegnare con disarmante semplicità nuove sfumature su un canovaccio relativamente standard (qui forse la pietra di paragone immediata è con i brani più muscolari di Julie Christmas). Il tris d’assi è completato dal gioiello della corona, “Nethergrove”, tredici minuti di cinematografia pura tra sabbia, fango, malinconia, squarci lirici, fatica, abbandoni e una tensione che tiene inchiodati alla visione e all’ascolto, nell’attesa di capire se la sentenza finale sarà salvezza o dannazione…
Un ritorno magnificamente sontuoso per una band che rivendica a pienissimo titolo un posto nell’élite post-metal mondiale, la conferma che una pausa pur significativa non può intaccare le riserve di una band che ha fatto della qualità la cifra stilistica di ogni prova, Emovere è un album che riconcilia con un intero genere, evidentemente tutt’altro che spento o in affanno, quando a maneggiarlo sono i giganti delle prime file e non i cloni seriali delle retrovie. È “solo” un EP ed è bene non farsi trascinare dall’entusiasmo? Non importa, questa mezz’ora degli Obscure Sphinx vale intere discografie altrui.
(Autoproduzione, 2025)
1. Scarcity Hunter
2. As I Stood Upon the Shore
3. Nethergrove