Raramente si pensa alla Danimarca quando si parla di quel calderone nel quale infiliamo le proposte musicali della penisola scandinava o dell’Europa del Nord in generale. Ultimamente, però, pare che la condizione di “sorella minore” cominci a stare un po’ stretta a questa nazione e in breve lasso di tempo ottime cose sono arrivate dal Danmarks Rige. Pensiamo a Kollapse, Vægtløs, Solbrud e Afsky e, perché no, Myrkur. Oggi prendiamo in analisi il secondo disco degli Offernat, duo di Copenhagen che con questo Where Nothing Grows continua a viaggiare in quello spazio che cerca di unire black, doom, post-metal e sludge.
L’album si compone di 5 brani di cui uno strumentale e un pezzo sperimentale a base di effetti e feedback. L’apertura spetta a “Grief”, canzone che supera di poco i quindici minuti e che ci presenta in completezza le traiettorie che compongono il sound del duo e quindi ci troviamo di fronte aperture melodiche dilatate e lente, violente sfuriate più assimilabili al black e infine, la traccia più post- e sludge che di solito marca la seconda parte dei brani. “Grief”, però, ci mostra anche quelli che sono i limiti dei brani che compongono questo disco. Non sempre le parti che si richiamano a generi diversi sono ben collegate e le voci risultano essere impostate su un timbro e un’impostazione monocorde che tende ad appiattire i vari e variegati passaggi. Spesso si nota anche un certo indugiare sullo stesso singolo riff che porta i nostri a sottovalutare l’impianto generale del singolo pezzo. Va notato con piacere che le cose cambiano e, per fortuna, migliorano con la title-track che si fa apprezzare molto di più del pezzo che l’ha preceduta, vuoi per una maggiore attenzione alla struttura, vuoi per la voce che tende a interpretare di più e meglio il trasporto emotivo che i nostri traducono in note (oltre ad avere una partenza in grande stile in blast beat e tremolo). Quindi, qua vengono invece alla luce i pregi degli Offernat, che come i conterranei Solbrud, provano a inserire riff tipicamente di ispirazione europea (vengono in mente i Dissection ma anche la grande tradizione del thrash tedesco anni Ottanta e Novanta) in strutture più vicine alle intuizioni del black atmosferico della costa occidentale degli Stati Uniti, Agalloch in primis, e quindi si dà spazio all’alternanza tra parti melodiche e acustiche e stralci più aggressivi. Il terzo brano, “Like Blood in the Snow”, è una strumentale che si attesta sui 7 minuti e che vede i danesi in un’interessante e più riflessiva interpretazione dove si intravedono sprazzi di serenità nell’invece plumbeo manto che caratterizza il resto dell’album. “A Voice in the River” è appunto l’episodio più destrutturato del disco che però sembra non essere altro che un intermezzo che anticipa l’ultimo brano, “Funeral Fantasy”. La chiusura dell’opera è lasciata a una canzone il cui inizio è in tema con il titolo, stando quindi dalle parti di un funeral doom senza compromessi dove l’alternanza delle voci è improntata su un importante trasporto emotivo. Il brano vede una seconda parte che si contraddistingue per un notevole portato di violenza e aggressività e alcune buone intuizioni però forse slegate tra loro.
Intendiamoci, gli Offernat non fanno niente di sbagliato e l’album merita una piena sufficienza. Il tutto sembra però in bilico tra la frenesia del proporre tante, seppur valide, idee e quell’indugiare forse troppo a lungo sul singolo riff, sulla singola nota e sul singolo pattern ritmico. Manca, di sicuro, quel qualcosa in più che potrebbe far spiccare Where Nothing Grows nel mare magnum delle tante uscite discografiche del genere rischiando di passare, pertanto, per disco che tocca la mediocrità quando mediocre non lo è. La carriera del duo danese è cominciata solamente due anni fa e quindi ci sarà occasione per ritrovare i Nostri più maturi e più concentrati sulla struttura generale delle loro opere.
(Indisciplinarian, 2024)
1. Grief
2. Where Nothing Grows
3. Like Blood in the Snow
4. A Voice in the River
5. Funeral Fantasy