A quattro anni da In Silence We Yearn gli svedesi Oh Hiroshima tornano sul mercato con Oscillation, terzo album sulla lunga distanza, il primo ad essere pubblicato, forse un po’ fuori contesto, da Napalm Records. E lo mettiamo in chiaro da subito: è un album che porta con sé un grosso fardello, quello dello status di modern classic del post-rock raggiunto proprio da In Silence We Yearn, tra le opere più pregnanti dell’ondata moderna del genere. Un album profondissimo ma capace di afferrarti dal primo ascolto, complice un uso molto intrigante della voce, elemento che distingue la band di Örebro da molti colleghi, ma che invero si sarebbe distinta allo stesso modo per il comparto strumentale, ricercato e penetrante, nonché capace di ricostruire paesaggi in maniera unica, e molto scandinava.
Ecco, i presupposti con cui ci siamo approcciati a Oscillation sono quelli di un difficile seguito. E non possiamo dire di essere rimasti particolarmente colpiti dai primi ascolti, proprio per l’eredità che l’album cerca di afferrare, anche considerando il fatto che la ricetta sonora è più o meno la stessa: post-rock dinamico, influenzato da certo alternative, guitar-driven, chiaramente malinconico e suggestivo.
In realtà è solo necessario entrare, con gli ascolti, nell’anima dell’album e provare a comprenderlo appieno. Il trio dimostra ancora una volta un grande talento in fase di composizione come nell’elaborazione sonora, ed è chiaro sin dall’iniziale “Neu”, che apre con un crescendo un po’ shoegaze per tramutarsi in un gioco di luci e ombre che potrebbe appagare i fan dei Klimt 1918. Dalle trame di Oscillation trapela infatti un sentimento più oscuro, intimista, racchiuso in sé stesso. “In Solar” ne è un esempio, nei suoi arrangiamenti per archi che non scalfiscono un’emotività minimale, così come “Moderate Spectre” è un picco di densità che equivale a una pugnalata.
Ma ciò che ancora una volta colpisce è come gli Oh Hiroshima abbiano trovato una forma per la propria musica che è assolutamente propria, riconoscibile per scelta dei suoni – con gran lavoro di mastering curato, manco a dirlo, da Magnus Lindberg – come per efficacia in fase di songwriting, e soprattutto per le atmosfere che richiamano fortemente la propria terra d’origine, nei suoi ambienti silvani come in quelli metropolitani.
Tornando alla questione iniziale possiamo dire che no, Oscillation non supera il fortunato predecessore, e non rappresenta nemmeno un timido passo avanti. Ma di qui a definirlo deludente ne corre, poiché davvero nulla è fuori posto o poco ispirato. Anzi, l’album si dimostra robustissimo nelle proprie trame, scritto e interpretato in tutti i crismi del genere, e con un quid personale che lo porterà a rientrare, senza dubbio, fra le uscite post-rock dell’anno. Forse si fermerà qui, ma in una scena così satura pare già un risultato.
(Napalm Records, 2019)
1. Neu
2. A Handful of Dust
3. Simulacra
4. Moderate Spectre
5. Darkroom Aesthetics
6. In Solar
7. Molnet