Il quartetto strumentale chiamato Orsak:Oslo è una piccola realtà underground fondata nel 2014 dai musicisti Christian (dalla Svezia) e Øyvind (Norvegia). I due non ci misero tanto a pubblicare un primo EP denominato Torggata Sway (il nome della strada dove si trovava l’appartamento che condividevano) che gli permise prima di trovare il tastierista Bjarne (ora alla chitarra) e poco tempo dopo il bassista Peter. Nei circa sette anni di ricerca musicale, il combo nordico ha composto svariati EP in formato digitale (undici). Questa recente uscita discografica vede la pubblicazione di due EP, ovvero Skimmer (uscito già nel 2020) ed il nuovo Vemod in vinile e CD, in un unica release chiamata appunto Skimmer/Vemod.
Il disco gioca parecchio sui contrasti sia nel titolo che nell’aspetto musicale. Le tracce dedicate a Skimmer, derivanti da alcune jam session, hanno un animo più sognante e ricercato che, sebbene non rispecchi totalmente il tipico trademark della band, abbracciano il lato più naturalistico delle composizioni. “057 Passage” parte con un rugginoso blues chitarristico dai toni oscuri che si evolve un post-rock arioso che si fa via via sempre più epico grazie ad un notevole crescendo melodico diluito a sua volta nelle pennellate jazzate della successiva “061 Skimmer” dove l’atmosfera si fa impalpabile e delicata grazie anche al lavoro ritmico della raffinata batteria. Con il passare dei minuti il sapore comincia a farsi acre e ferroso e si percepisce che qualcosa sta per cambiare. Le prime note acustiche, dalle venature rustiche, contenute in “058 Cloudburst” hanno vita breve perché entrano in campo dei giri di chitarra distorti, ai limiti dello stoner più acido, pregni di un muro di distorsione che non si mostra mai del tutto preferendo fare da collante alla seconda parte dedicata all’anima opposta ossia Vemod. Le tracce derivano dal periodo della pandemia e risentono di una sperimentazione più marcata, dovuta in parte al modo di comporre “separato” dei singoli musicisti e dall’altra ad una ritrovata ispirazione che fece nascere i primi lavori specie nelle atmosfere bluesy/doom della decadente nebbia di “065 Vemod” che prepara il terreno per il mostro kraut rock a due teste delle rimanenti canzoni. Si inizia con il camaleonte sonico chiamato “067 Mod Amerika” dove c’è un innalzamento del drumming con dei passaggi ritmici movimentati ed ossessivi che fungono da base per le derive melodico/psichedeliche che avanzano oniriche e marziali grazie anche al contributo delle visionarie tastiere. L’altro lato della medaglia rappresenta un po’ il concetto del disco, ovvero una sorta di corto circuito in cui i difetti vengono in qualche modo bilanciati dai pregi creando un equilibrio malsano. “66 Bottom Bound” rappresenta tali osservazioni non mostrandosi innovativa e risultando decisamente ostica e poco fluida non riuscendo mai a decollare come vorrebbe, eppure… Quella deviata magia dettata da particolari linee di chitarra mai scontate, quelle ritmiche ipnotiche e la distorsione magniloquente non annoiano e riescono a fondersi fra loro su di un tappeto dalle tinte malinconiche tipiche delle fredde lande del nord. Il discorso sta tutto qui. E’ una musica che appaga ed allo stesso tempo crea disagio eppure non si riesce a distaccarsi.
Un lavoro molto fine, che potrebbe creare molte discussioni sul suo valore effettivo e per il suo essere disomogeneo ed imperfetto. Geniale o no, merita comunque attenzione, molta attenzione.
(Kapitän Platte, 2021)
1. Passage
2. Skimmer
3. Cloudburst
4. Vemod
5. Mod Amerika
6. Bottom Bound