ØR (termine norvegese traducibile come “confuso” o “vertigini”) segna il ritorno degli italiani Oslo Tapes con un terzo album che segna un notevole cambiamento nel proprio sound. Li avevamo lasciati circa sei anni fa con il precedente album Tango Kalashnikov che si ispirava quasi totalmente a sonorità della scena noise rock italiana anni ‘90 incrociata con derive più oscure modello Tool. Questa nuova uscita vede nuovamente il prolifico Marco Campitelli accompagnato dalla medesima squadra, ovvero l’amico Amaury Cambuzat (faUSt / Ulan Bator) alla produzione, Mauro Spada al basso e Davide Di Virgilio alla batteria. La musica stavolta vira pesantemente verso atmosfere soffuse ed ipnotiche cercando di trasmettere un immaginario paesaggistico attraverso la musica.
Protagonisti di questa nuova avventura sono in primis i massicci inserti di synth, che erigono delle imponenti stratificazioni di elettronica creando un suono davvero complesso, e questo è forse l’elemento che eleva il lavoro ed allo stesso tempo lo affossa. L’idea di base era molto promettente e se l’obiettivo era quella di “stordire” il risultato può dirsi riuscito, ma non è un dato del tutto positivo. Ci sono troppi dettagli mischiati con poca coesione di idee (“Norwegian Dream”) creando una confusione non indifferente. Le parti che dovrebbero trasmettere un senso di “elevazione interiore” come “Kosmik Feels” (interessanti le ritmiche tribali) o le parzialmente visionarie “Zenith” e “Cosmonaut” falliscono per due motivi: sfruttano troppo i cliché delle voci lisergiche, un po’ forzate, per poi arenarsi in ripetizioni ed un uso dei synth non così riuscito (seppure ispirato al maestro Vangelis). Anche in questo album non si comprende bene dove la band voglia andare a parare dati i molteplici elementi sparsi fra le tracce come inserti industrial, noise rock storto (“Bodoe Dakar” con il suo basso totale), pennellate jazz stralunate (“Exotic Dreams”) o frammenti new wave anni ‘80 incrociati con la psichedelia e lo space rock (“Space in the Place”). Il problema di fondo è che non c’è abbastanza durezza oscura – a poco servono gli ipnotici pattern circolari della batteria – per immergersi nelle fredde galassie dell’universo e nemmeno una concreta visione “allucinata” per raggiungere il voluto climax psichedelico. C’è però una perla nascosta, la finale “Obsession is the Mother of All” traccia ritmata e gelida, forse il brano migliore dove un certo kraut rock emerge fragoroso e bilanciato grazie a ritmiche robotiche e lancinanti viaggi psych/industrial. C’è sicuramente tanta cura e ricerca e non si può certo dire che gli Oslo Tapes abbiano fatto un brutto disco, eppure resta l’amaro in bocca. Pare che la band si sia lasciata andare eccessivamente, dimenticando che certi tipi di musica non possono ritrovarsi così quadrati e rinchiusi fra quattro mura ma devono essere lasciati liberi di fluire.
ØR è un lavoro con molto mestiere, forse troppo pretenzioso: non necessariamente l’avant-rock deve essere cervellotico. Spesso bastano poche e semplici idee ma soprattutto senza freni inibitori. Band come i Pere Ubu sperimentavano molto di più senza il bisogno dei mezzi di adesso e forse anche con meno tecnica. Buon lavoro, ma ci si aspettava di più.
(Pelagic Records, 2021)
1. Space is the Place
2. Zenith
3. Kosmik Feels
4. Bodoe Dakar
5. Cosmonaut
6. Norwegian Dream
7. Exotic Dreams
8. Obsession is the Mother of All