Ottodix è uno di quei progetti italiani che meriterebbero molta più attenzione dati i molti risvolti artistici a cui ha dato vita. L’idea è nata nel 2003 grazie al mastermind Alessandro Zannier che negli anni ha portato avanti con amore e costanza i suoi concept sonori (finora si contano sette album ed un libro+raccolta biografici) collaborando con tantissimi artisti come Baustelle, Boosta (Subsonica), Madaski (Africa Unite), Motel Connection, Daddy G (Massive Attack) e molti altri. Il nuovo album Entanglement vive anch’esso di tante cose a cavallo tra musica ed arti visive andando a pescare da tematiche che riguardano il Pianeta Terra e tutto ciò che vi ruota intorno, sempre avvalendosi del suo stile musicale a base di new wave mescolato con il post punk, ma non solo.
Se il precedente album Micromega trattava temi come le micro particelle, i sistemi di universi attraverso canzoni ispirate alla fisica, all’astronomia e alla filosofia odierna (tuttora in scena nei teatri e nei luoghi d’arte) stavolta le cose cambiano con un concept del disco molto differente (il titolo è traducibile con “Intreccio”) e con soluzioni musicali sempre varie ed interessanti. La cura negli arrangiamenti è sempre una prerogativa di Alessandro che dopo l’intro “Permafrost” sorprende con un pezzo atmosferico come “Europhonia”, sempre caratterizzato dal cantato italiano e contenente tutte quelle sfumature tipiche del suo stile che può richiamare un mix tra David Bowie e Garbo per citarne alcuni. Il rock comunque non manca mai e lo si percepisce nell’irruenza della chitarra di “Mesopotamia” ben incastonata nelle atmosfere orientaleggianti, nei beat massicci ed in una certa elettronica abbracciata al trip-hop. In “Gengis Khan” si va diritti al synth pop dalle marcate influenze nipponiche con un pathos sempre in crescendo ben accompagnata anche dalla seguente “Sub Pacifica”, traccia sperimentale electro piena di sfumature ambient, rumori e psichedelia dove traspare l’incubo di Fukushima. Non pochi sono gli altri brani stile “intermezzo” come “Sub Atlantica”, “Sub Indiana” e “Antartica” che avrebbero meritato però uno spazio maggiore rischiando di non incidere come dovrebbero. Tralasciando quindi le piccole parentesi il disco si dipana su moltissime vie piene di critiche e osservazioni sul mondo umano come la robotico/acida “Pacific Trash Vortex” vista in ottica pessimista o la contorta “Columbus Day” con il suo andamento ritmico quasi rap pieno di atmosfere surreali confrontando America ed Europa virando poi verso un mood più intimista nel trip-hop di “Isole Remote” dove l’elettronica minimale si fonde con visioni futuriste. I testi sono intelligenti e si sposano al meglio con la musica che durante l’ascolto è sempre qualcosa in evoluzione da cui non si sa mai cosa aspettarsi come ad esempio la primordiale “Africa By Night” con quelle ritmiche arcaico/pagane, gocce di dream pop ed un finale infiammato ma anche la ribelle e ritmatissima “Maori” sa il fatto suo movimentando l’andamento e scuotendo gli animi.
Entanglement è uno di quei dischi da scoprire poco a poco e che può piacere a tanti ascoltatori, un album in cui Alessandro e tutti i musicisti coinvolti mettono in scena musica ma soprattutto amore per la musica stessa e l’arte in generale – non a caso è stato annunciato con una prima installazione-spot alla Biennale di Curitiba (Brasile) ispirata ad esso, dal titolo “Dispersioni”, gemellata con un’opera esposta dal 18 gennaio 2020 al Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza. Un album bello, colto e raffinato ma che non manca mai di intrattenere lasciando che la tecnica crei semplicità ed immediatezza facendo allo stesso tempo riflettere ed entusiasmare. Ottimo!
(Discipline Records, 2020)
1. Permafrost
2. Europhonia
3. Mesopotamia
4. Gengis Khan
5. Sub Pacifica
6. Pacific Trash Vortex
7. Columbus Day
8. Sub Atlantica
9. Isole remote
10. Africa by Night
11. Sub Indiana
12. Maori
13. Antartica
14. Entanglement