Di progetti folli e strampalati, in quel contesto musicale spesso definito sperimentale, ne nascono a bizzeffe, e pare che sia divenuto sempre più difficile stupire, sperimentare davvero, o rappresentare una produzione completa e interessante, non solo un momentaneo trip mentale fine a sé stesso. Ecco, posto che questa sia la regola, Ottone Pesante rappresenta la proverbiale eccezione; folle e strampalato è il loro metallo suonato con il metallo, ma è anche significativo, pesta, funziona. Poteva essere uno svago estemporaneo, poteva, sinceramente, essere una vera stronzata, ma i fatti danno ragione alla band: sono passati due anni dall’esordio Brassphemy Set In Stone, periodo passato on the road praticamente senza sosta, e il nuovo Apocalips arriva senza che sia andata persa un’oncia di attitudine e dedizione, e soprattutto senza che si sia perso lo smalto che aveva caratterizzato e fatto apprezzare l’album precedente.
Per chi si fosse sintonizzato solo adesso, Ottone Pesante è la creatura di Francesco Bucci (trombone) e Paolo Raineri (tromba), che insieme al batterista Beppe Mondini hanno deciso di suonare metal con questa precisa formazione, senza voci, senza basso, senza chitarre – il metallo suonato col metallo, come detto in apertura. Per quanto stravagante sia l’idea, i tre non si sono mai concessi ad un eccessivo sperimentalismo e hanno mantenuto un contatto ben saldo con la musica pesante, trasponendo per gli ottoni il riffing degli strumenti a corda e sostenendolo con un drumming del tutto metal, non perdendo di vista la forma canzone metallica con i suoi stilemi e le sue atmosfere. Il nuovo Apocalips prosegue il discorso senza particolari stravolgimenti, consolidando anzi il legame con il metal e affinando lo stile e il gusto compositivo: diversi sono i momenti orecchiabili che tengono in pugno l’ascoltatore. Non è difficile, infatti, farsi agguantare dall’opener “Shining Bronze Purified in the Crucible” o dall’irruenza in your face di “Lamb with Seven Horns and Seven Eyes”, la cui furia black metal può ricordare i Mors Tua, band che in passato ha sperimentato l’uso della tromba in un contesto estremo. A colpire, nei brani menzionati come anche in “Angel of Earth”, è proprio l’approccio più metallico rispetto al passato, più forsennato, imperioso, apocalittico. D’altronde, come espresso nelle note di presentazione, la band si propone, nel suo solito mood tra il serio e il faceto, di riscoprire il potenziale distruttivo degli ottoni – distruttivo anche per i musicisti stessi, basti pensare alla meccanica del suono di questi strumenti e alle velocità funamboliche raggiunte dai Nostri, oltretutto senza sovraincisioni. Di faceto però brani come “Bleeding Moon” non hanno nulla, anzi tra blast beat di scuola norvegese e groove cadenzati, che girano e rivoltano sé stessi e prima ancora l’ascoltatore, ci convincono che l’ottone può inquietare e può ferire non meno di una chitarra. Per dirne una, l’oscura “The Fifth Trumpet” funzionerebbe anche senza l’apporto, comunque apprezzatissimo, di Travis Ryan dei Cattle Decapitation, che nella seconda metà del brano urla cose con il suo riconoscibile scream dal pitch alto e squillante. L’album si chiude poi in maniera decisamente straniante: prima “Twelve Layers of Stones” con le sue giravolte circensi ci fa perdere la bussola, poi l’esperimento doom di “Doom Mood” che strisciante, ansiogeno, quasi funebre, nei suoi tredici minuti di durata ci porta in territori finora inesplorati dalla band, che però anche qui convince per chiarezza di idee.
È la chiosa di un album ancora una volta azzeccato, con molti alti e pochi bassi, che certamente soddisfa e si fa apprezzare non solo in potenza ma anche nell’atto. Certo, è lecito porsi qualche domanda circa l’effettiva futuribilità della materia musicale trattata. Insomma: può andare avanti questa ricetta? Quando inizierà a stancare? È probabile che i Nostri dovranno inventarsi qualcosa per evitare di ripetersi nel terzo, cruciale album, che già di per sé è spesso un punto di svolta. Al momento prendiamo atto del lavoro encomiabile svolto dal trio, e non possiamo che tributare loro il giusto plauso per il coraggio di mettersi in gioco con un esperimento sì folle e strampalato, ma più che mai reale, concreto, serissimo, veramente set in stone.
(B.R.ASS., 2018)
1. Shining Bronze Putrified in the Crucible
2. Lamb with Seven Horns and Seven Eyes
3. Bleeding Moon
4. Angels of Earth
5. The Fifth Trumpet
6. Locusts’ Army
7. Seven Scourges
8. Twelve Layers of Stones
9. Doom Mood