Non è facile iniziare la carriera pubblicando un disco che, sebbene le interessanti e singolari premesse, non ottiene l’apprezzamento unanime di pubblico e critica. Ancor più difficile è fare tesoro delle critiche e usarle come stimolo per lavorare ancora più alacremente e fare ricredere i detrattori, senza con questo scendere a compromessi e snaturare la natura del proprio progetto musicale. È con questo inciso che presentiamo il secondo lavoro dei tirolesi Perchta, band formata nel 2017 con l’ambizione di fondere musica popolare tirolese e black metal e arrivata, nel 2020, alla pubblicazione del primo full-length, Ufång. Come anticipato, l’opera prima ottenne pareri discordanti e la critica si divise tra chi elogiò il concept alla base del lavoro, sottolineandone gli elementi più particolari e atipici per il genere, e chi lamentò una eccessiva ridondanza data dalla predominanza dell’elemento folk su quello strettamente black, richiamato più nell’immagine che il gruppo proponeva di sé piuttosto che nella proposta musicale. Ecco quindi che in questo 2024 i Perchta, il cui nome deriva dall’omonima figura della tradizione alpina pre-cristiana e del folklore balcanico, tornano sulle scene con D’Muata, secondo lavoro di ampio respiro, e riescono con assoluta risolutezza a cambiare sin da subito la rotta di una carriera partita con un mezzo passo falso, ma ora ampiamente indirizzata verso un promettente prosieguo.
Andando con ordine, la proposta dei tirolesi è quella di un black metal a forti tinte folk, che attinge dall’immaginario locale per quanto riguarda gli stimoli sensoriali evocati (quelli di un territorio aspro, impervio e misterioso, in cui è labile il confine tra passato e presente, così come quello tra realtà e credenza), la scelta stilistica di un cantato esclusivamente in dialetto austriaco e l’utilizzo di strumenti tipici della tradizione musicale alpina quali la cetra da tavolo, il dulcimer e il singolare teufelsgeige. A differenza del capitolo precedente, in questa seconda fatica tutti i citati elementi risultano ben amalgamati, sia prendendo in esame le singole tracce, sia guardando l’album nel suo complesso: l’elemento black è ben presente ed è ottimamente accompagnato dalla strumentazione locale, sia nelle sezioni in cui questa supporta il dipanarsi delle trame a cinque corde, sia nelle circostanze in cui invece esalta le harsh vocals della cantante Frau Percht (come nel caso della meravigliosa “Mei Dianä Mei Bua”, ultima traccia del disco). È proprio quest’ultima, al secolo Julia-Christin Casdorf, a regalare poi una prova canora di tutto rispetto, alternando registri diversi e passando con disinvoltura dalle cleans vocals allo scream più feroce, da accenni di growl a vocalizzi e sussurri. Se, dal punto di vista tematico, il predecessore si concentrava ampiamente sul rapporto uomo-natura, siamo invece ora di fronte ad un vero e proprio manifesto femminista (“d’muata” è, non a caso, traducibile con “la madre”) in cui viene dato ampio spazio a temi quali la procreazione, la maternità, la stigmatizzazione del ciclo mestruale, la perdita di un figlio e, non da ultimi, la violenza sulle donne e il femminicidio. Appare dunque chiaro come, anche da questo punto di vista, ci troviamo davanti ad una proposta di nicchia, relativamente alla quale bisogna fare i complimenti alla band per l’originalità, frutto di un sentimento sicuramente profondo e radicato, e per il coraggio di uscire, ancora una volta, dalle traiettorie canoniche e, a dire il vero, fortemente inflazionate del genere. Come detto, la proposta dei Perchta è indubbiamente particolare, anche se non è difficile trovare dei punti di contatto con i romeni Sur Austru, progetto piuttosto recente nato dalla ceneri dei Negură Bunget e focalizzato sulla ripresa delle tradizioni proprie della terra d’origine, con il polistrumentista francese Igorrr per la capacità di fondere generi tradizionalmente anche molto distanti, con il neofolk di Heilung e Dornenreich e, spingendosi con la dovuta cautela verso lidi più propriamente pagan black, con le grandiose doti compositive dei Nokturnal Mortum.
D’Muata è, in definitiva, un bell’album, che riprende e rielabora quanto di buono già mostrato all’esordio e corregge il tiro dove necessario, equilibrando tutte le numerose componenti che caratterizzano una proposta inusuale dal punto di vista musicale e ancor più sotto l’aspetto tematico, arrivando anche a regalare alcuni passaggi che, una volta entrati in testa, difficilmente ne usciranno in tempi brevi.
(Prophecy Productions, 2024)
1. Vom Verlånga
2. Ois wås man san
3. Heiliges Bluat
4. Hebamm
5. D’Muata
6. Wehenkanon
7. Ausbruch
8. Långtuttin & Stampa
9. Mei Dianä Mei Bua