La figura dell’Estrangeirado riveste un ruolo molto importante prima nella cultura e poi nella letteratura lusofona. Se prima si limitava la definizione a un sentimento esterofilo legato all’Illuminismo, in letteratura, grazie soprattutto a Fernando Pessoa, si viene a delineare il concetto di estrangeirado come colui che a disagio si trova in ogni luogo e in ogni contesto, soprattutto se il luogo coincide con quello in cui si è nati e cresciuti. Il duo carioca dei Piah Mater fonda liricamente il concetto di Under the Shadow of a Foreign Sun sulle varie sfaccettature che possono essere legate all’inadeguatezza del vivere in un dato posto, da quelle socioeconomiche e climatiche a quelle più legate al personale. Se questo è, brevemente, l’argomento tematico dei testi, a livello musicale possiamo inquadrare il genere del duo composto da Luiz Felipe Netto (voce, chitarra e tastiere) e Igor Meira (chitarre), accompagnati in questo disco da Luan Moura al basso e da Pedro Mercier alla batteria, nell’ambito dell’extreme progressive metal che però, e qui facciamo subito cascare l’asino, risente molto, troppo, dell’influenza degli Opeth.
Una breve intro in clean apre il primo pezzo “As Island Sink”, che già basta a mostrare pregi e difetti del duo di Rio de Janeiro. Ottime capacità esecutive, sapiente uso della voce sia pulita che in growl, bei tastieroni anni Settanta ma anche e purtroppo riff e strutture dei pezzi che troppo si rifanno alla band di Mikael Åkerfeldt (soprattutto quelli del trittico che va da Still Live a Deliverance). I pregi vengono maggiormente fuori con il pezzo successivo “Fallow Garden”, il migliore di tutto l’album, grazie anche al violento riff della strofa in cui si riconoscono tracce degli Enslaved meno complessi e, poi, alle divagazioni jazz con al sassofono Jørgen Munkeby (Shining norvegesi, Jaga Jazzist, Ihsahn e session live con gli Emperor tra le innumerevoli collaborazioni). La canzone è oggettivamente molto bella, si riconoscono le varie influenze della band ma in questo caso il sapiente dosaggio delle varie parti fa chiudere un occhio sulla eccessiva derivatività. Le influenze jazz tornano nell’intermezzo acustico e strumentale a base di sola chitarra “Macaw’s Lament”, che bene esplica il senso di malinconia e di saudade che permea il disco. “In Fringes” invece è il brano più debole di Under the Shadow of a Foreign Sun. Torna la distorsione, torna il growl ma si denota una certa confusione nella struttura e un voler mettere troppa carne al fuoco, così che sembra che il pezzo si trascini per gli oltre 8 minuti di durata. Leggermente meglio “Terra Dois” a livello di struttura, anche se la parte iniziale è caratterizzata da un riff non bellissimo. Certo è che i Piah Mater mostrano nuovamente grande consapevolezza nei propri mezzi con gli strumenti in mano e senza strafare. In chiusura il gioiellino “Canícula”, dolcissimo e nuovamente malinconico brano quasi interamente acustico, con voce pulita e testo in portoghese. Spicca il duetto tra Luiz Felipe Netto e la mostruosamente brava Isadora Melo, graditissima ospite che accende una splendida luce sul brano.
I Piah Mater arrivano al terzo album e troppo timidamente provano ad allontanarsi dall’eccessiva dipendenza dagli Opeth mostrata nei precedenti Memories of Inexistence del 2014 e The Wandering Daughter e lo fanno sfruttando un’enorme cultura musicale, grandissima bravura nel suonare e ampliando la sfera delle influenze. È facile comprendere che un’opera del genere possa andare a riempire un vuoto negli ascoltatori nostalgici della band svedese che fu ma rimane qualcosa di comunque sacrificato, addirittura sprecato. I Piah Mater sono ottimi musicisti e compositori e l’investimento e l’impegno messi in Under the Shadow of a Foreign Sun sembrano davvero importanti. Ecco, forse è il caso di mettere a frutto le proprie indiscutibili capacità per creare qualcosa di personale invece che inseguire (apparentemente, almeno) un treno che oramai è passato. Di spazio nel death metal progressivo ed evoluto ce n’è e se verrà occupato con brani come “Fallow Garden” e “Canícula” sarà un bellissima evoluzione.
(Code666, 2024)
1. As Islands Sink
2. Fallow Garden
3. Macaw’s Lament
4. In Fringes
5. Terra Dois
6. Canícula