L’uscita il 28 agosto di The Octagonal Stairway, l’ultimo EP dei washingtoniani Pig Destroyer, in cui la band prova per la prima volta a sperimentare con sonorità diverse da quelle più tipicamente extreme metal che la caratterizzano, offre l’opportunità di fare un breve punto sulla scena grind contemporanea, ed in particolare su quel suo versante più sperimentale ed eclettico a cui i Pig Destroyer cercano di farsi ascrivere con questo nuovo lavoro.
The Octagonal Stairway, della durata considerevole per un EP (e soprattutto per uno grind) di venticinque minuti si presenta all’ascoltatore come un lavoro nettamente diviso in due sezioni. La prima offre tre pezzi tirati fuori direttamente dall’affidabilissimo tritacarne marca Pig DestroyerTM: la titaltreck ripropone un vecchio singolo del gruppo, mentre “The Cavalry” e “Cameraman” fanno un passo indietro rispetto all’hardcore metallico dell’ultimo Head Cage per avvicinarsi di più al grindcore spietatamente immerso nel thrash di Book Burner. E fin qui il combo americano non esce di mezzo millimetro dal solco tracciato dai due album precedenti a questo lavoro. Il B-side, invece, propone tre brani che non ricordano niente di quanto fatto dai Pig finora (se non forse l’EP di doom alternativo Mass & Volume) ma si presentano come un lento trascinarsi di suoni techno/industrial che un po’ ricordano l’Author & Punisher di Ursus Americanus, un po’ Trepaneringsritualen, un po’ annoiano e basta. Quest’integrazione per mero accostamento del classico grind à la Pig Destroyer con questo noise elettronico piovuto dal cielo fa sembrare che la band di Washington abbia tutto d’un tratto deciso di entrare nella scena del grindcore sperimentale in maniera piuttosto artificiale, ibridando il proprio suono con sonorità ad esso estranee e derivate, quasi prive di originalità. Il grindcore sperimentale, che unisce l’elettronica, l’industrial e il drone alle sonorità novantiane dei maestri del genere è altra cosa: parte dai capolavori del 2006 Dead Mountain Mouth dei Genghis Tron e Grist, del bostoniano Drumcorps (e contenente il singolo “Pig Destroyer Destroyer”… fate un po’ voi) e si evolve negli anni seguenti con fusion forse meno marcate e coraggiose ma comunque interessanti. L’esordio dei grind-doom-noise-blacksters-ecc.ecc. Full of Hell nel 2011 rimescola le carte non solo per il grindcore ma per il metal alternativo in generale, mentre nella scena si fanno largo anche gli intellettuali Cloud Rat, che nel 2019 compendiano sagacemente l’ottimo Pollinator con un EP synth-folk di altissima qualità. Di quest’anno, invece, il devastante esordio dei nigeriani Duma, con un self titled di violentissimo thrashgrind industriale. Per capire dove sta andando il grindcore negli ultimi tempi basta dare una scorsa alla setlist del Roadburn, faro non solo del doom/psych ma anche di generi più aggressivi: quest’anno gli olandesi propongono i The Dead Cvlt e la loro miscela di deathgrind e musica sintetica quasi dance.
Il miglior album grind del 2020 è, per ora (e aspettando a settembre il ritorno dei Napalm Death), Grieving Birth degli Internal Rot: venti minuti di corsa a piedi nudi sull’asfalto di ferragosto ricoperto di cocci di bottiglia, senza cedere per un secondo il passo a contaminazioni & simili o scemi suoni lentissimi. Ancora, dopo 33 anni da Scum, il grindcore sa regalare emozioni fortissime e, piuttosto che fare la figura dei vecchi che cercano inutilmente di star dietro ai giovani, è meglio non toccare il gran lavoro che si è fatto dal ’97 a oggi e continuare a fare come nelle prime tre canzoni di The Octagonal Stairway.
(Relapse Records, 2020)
1. The Octagonal Stairway
2. The Cavalry
3. Cameraman
4. News Channel 6
5. Head Cage
6. Sound Walker