Si intitola Rien ne suffit (niente è abbastanza) il nuovo, oscuro capitolo della storia dei Plebeian Grandstand, compagine francese ormai giunta al quarto disco, ma non per questo a suo agio con il concetto di “stasi”. Il quartetto di Tolosa infatti sembra aver innalzato a sua bandiera la mescolanza, il non-genere e la contaminazione con quanto di più disturbante ci sia sul mercato. Nella loro musica ci sono echi black metal, grindcore, jazz corrosivo, power violence, noise, elettronica e chi più ne ha più ne metta, ma ovviamente come per tutte le band che alzano un po’ l’asticella nel loro lavoro, la somma delle parti non fa il totale. Questo concetto era già abbondantemente chiaro nei dischi precedenti, soprattutto con l’ottimo False Highs, True Lows ma con questo nuovo episodio (primo uscito per la Debemur Morti Productions) se possibile i Nostri vanno anche oltre.
Ci troviamo di fronte ad un’opera altamente stratificata, che all’inizio può apparire come una tela su cui il pittore non fa altro che tirare innumerevoli secchi di colore diverso, quasi a mescolare tutto senza dare una forma o un tono ben preciso. In realtà, con gli ascolti emerge un’altra prospettiva: il quadro è preciso, meticoloso e, sì ricco di dettagli intricatissimi, ma ben definiti e solidi, che quasi ci guardano. Trovare il filo di Arianna per uscire dal labirinto è impresa ardua nell’atmosfera caustica che Rien ne suffit crea, in quanto gli appigli sono veramente pochi. Si parte subito forte infatti, con “Masse critique” e le sue urla straziate su un tappeto ritmico esplosivo e a dir poco dissonante, in uno scenario a metà tra un ospedale psichiatrico e un terreno bombardato. Quella che viene definita dalla band “entropia sociale” viene raccontata e sminuzzata in maniera chirurgica attraverso il dualismo ambiguo di “Tropisme” o la furia incontrollabile di “Part Maudite”, piuttosto che nel tumulto di “Rien n’y fait”. Gemma oscura del disco è la seguente “Espoir nuit naufrage”, concettualmente vicina ad atmosfere alla Deathspell Omega o alla Ulcerate, e musicalmente condensata in un climax caustico avvolgente come un serpente. Chiariamoci, trovare la chiave di lettura di questa violenza organizzata può mettere in difficoltà anche gli ascoltatori più rodati: all’interno di pezzi come “À droite du démiurge, à gauche du néant” oppure “Nous en sommes là” i Plebeian Grandstand ci fanno passare da voragini lente, granitiche e severe a sferzate più tipicamente black metal con una facilità e una maestria estreme. Per tutti questi motivi Rien ne suffit è da intendere come un unico grande monolite, un’esperienza da gustare nella sua interezza e senza aspettarsi niente, in quanto il risultato finale si costruisce man mano, come una creatura che acquisisce forma e vita ogni minuto di più.
Il concetto di “estremo” è di per sé molto complicato, per la sua naturale inclinazione ad essere interpretato e, a volte, abusato. I Plebeian Grandstand dal canto loro non hanno paura di conferirgli una personalissima connotazione, violenta, severa e assolutamente senza speranza. Forse è proprio questo che la band francese voleva trasmetterci: la negatività, il disagio e la rabbia sono sentimenti senza una forma definita, senza carta d’identità né attributi particolari, così come Rien ne suffit è un’entità tentacolare, opprimente ma che non va incasellata in un solo genere. Da quello che si può ascoltare (o leggere) riguardo i Plebeian Grandstand, la band non sembra interessata ad essere etichettata, ma lo è solo a produrre musica sincera, seria e che corrode come ruggine. In questo frangente ci sono decisamente riusciti, forse superando addirittura i risultati ottenuti con False Highs, True Lows. Prendete un bel respiro prima di iniziare l’ascolto, ma non lasciatevelo scappare, perché dischi così passano una volta ogni tanto.
(Debemur Morti Productions, 2021)
1. Masse critique
2. À droite du démiurge, à gauche du néant
3. Tropisme
4. Part maudite
5. Angle mort
6. Espoir nuit naufrage
7. Nous en sommes là
8. Rien n’y fait
9. Jouis, camarade
10. Aube